Come elaborare un discorso alternativo su lavoro e welfare, su Scuola e Sanità pubbliche, che corrisponda allo scontento sempre più diffuso nel Paese?
I dati dell’ISTAT e del Forum DD ci dicono due cose: in Italia chi è ricco lo è sempre di più e lo stesso accade a chi è povero. I numeri, mica la propaganda meloniana, parlano ormai di oltre dieci milioni di poveri: un quinto della popolazione!
Oggi in Italia si è poveri pur avendo un lavoro, questa è la realtà dell’incontestabile restaurazione neoliberale in atto.
Sinistra e destra, un blocco monocolore che campa per cooptazione, non hanno fatto altro negli ultimi quarant’anni che limitarsi al ruolo di esecutori dei potentati industriali prima e finanziari poi, arrivando addirittura a far credere la stronzata maxima che sta alla base del pensiero global: “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più” (cit. Romano Prodi, 1999).
La realtà, dopo un quarto di secolo, pare però decisamente diversa. Si lavora uguale, si guadagna meno, si spende di più e, se si lavora meno, è solo perché nel frattempo tante attività non ci sono più o hanno preferito delocalizzare per andare a fare profitti dove il lavoro costa meno e lo Stato Sociale è inesistente.
Problema n°1: come si porta quest’informazione a un numero sufficientemente vasto di persone, in modo da generare un effetto volano che produca l’elaborazione di una coscienza critica?
Se non vogliamo parlare di coscienza di classe, ché il passo successivo non sia mai una lotta dai pericolosi connotati sovranazionali, potremmo armocromisticamente girarci intorno, chiamandola “coscienza della reale situazione sociale, politica ed economica”. Così può andare? Da qua in avanti però è tutta salita.
Problema n°2: come si crea una base elettorale?
In Italia Grillo ci è riuscito partendo da un “vaffanculo”. #iosonogiorgia arrivando da numeri da prefisso telefonico. Per il Cavaliere di Hardcore è stato più facile: sbembli come se piovesse e l’impero mediatico a cantarne le lodi. Resta Il Girasagre, ma con lui (e con chi lo vota) bisognerebbe aprire un capitolo a parte sui presupposti del suffragio universale e, magari, rivederli in senso tanticchio restrittivo.
Problema n°3: da oltre 30 anni a sinistra:
– Non c’è un progetto;
– Non ci sono leader preparati (su qualunque aspetto dell’attività politica, figurarsi poi sull’economia);
– Non si sa comunicare (Weber, Lasswell, Adorno: almeno le basi!). A che serve, ad esempio, citare a cazzo Gramsci e Pasolini, se non si è mai andati oltre la copertina?
E qua arriviamo al punto: non c’è nessuno a sinistra che arrivi da, faccia parte di o viva effettivamente a contatto con gli strati popolari che dovrebbe rappresentare. Quando va bene, lo dico senza ironia, sono gli svolazzi lessicali di Elly Schlein o di Chiara (si fa per dire) Valerio a dare l’intonazione. All’apericena patinato sono Fratoianni e il redivivo Vendola. Quando va male è Marco Rizzo.
In sintesi: la destra vince in Italia e nel mondo perché a destra sono più bravi a fare politica? Direi di no.
La destra vince perché la sinistra in Italia o è cosa per ricchi trentenni ipergarantiti che parlano di cose, come la povertà, che non conoscono, oppure è oggetto di riflessioni accademiche da parte di accigliati ed autorevoli esponenti del pensiero colto, ma poi il sold out in libreria lo fa Vannacci.
Come ricordavo qua sopra qualche “riflessione” fa, per superare la china di un eventuale ritorno alla conflittualità, servirebbe tornare ai fondamentali: Partito e militanza. Vale a dire teoria ed elaborazione pratica. Questo se si volesse veramente voltare pagina per non continuare ad alimentare il misunderstanding che nasce dall’ostinarsi a inserire il PD nel mondo della sinistra.
Contemporaneamente noi veteromarxisti cisgender etero dovremmo, forse, uscire dalla comfort zone (si fa per dire) del pessimismo cosmico e del sarcasmo nichilista che governano il nostro esistere insulso e incominciare a vederla in maniera un po’ diversa.
Lo scenario odierno infatti è quello in cui le destre vincono ovunque giocando in difesa del capitale, mica perché hanno argomenti. Altroché destre sociali! Le sinistre, dal canto loro, vivono una dimensione di totale spaesamento e sconnessione dopo decenni spesi a rincorrere il privilegio e l’autoreferenzialità parolaia.
A guardare bene, qualche avvisaglia di cambiamento si sta già vedendo: soprattutto dopo il Covid, sempre più persone stanno guardando il lavoro con occhi diversi. Esso non è più visto come la dimensione sacra da cui far dipendere qualunque aspetto dell’esistenza, ma al contrario viene considerato con occhi sempre più disincantati e critici. La retorica di stampo liberale del “capitale umano”, dell’ “imprenditore di sé stesso”, del “merito” e delle “competenze” che tanto ha contribuito a creare quel blocco monocolore citato poco sopra, è nient’altro che la cultura della casta che ha eretto un muro bipartisan e che tira a campare fin che può. Ma è morta e sepolta.
Il problema è che, al momento attuale, non riusciamo a politicizzare concretamente tutto questo e men che meno con un registro narrativo comprensibile.
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