Una premier in chiaroscuro
Una botta alla Costituzione con il premierato, un’altra al diritto fondamentale dei lavoratori di esprimere il proprio dissenso ed eccovi servita la democrazia illiberale.
Non è chiaro perché proprio adesso, con mille problemi su cui concentrarsi, Giorgia Meloni sia andata a riaprire un capitolo assolutamente non fondamentale nella storia del Paese: le riforme costituzionali.
Oh, davanti a Palazzo Chigi non ci sono certo i tumulti e le folle scatenate ad invocare la Repubblica Presidenziale! È vero invece che la politica italiana degli ultimi trent’anni ha prodotto l’allontanamento di un elettore su due. Il Paese ormai affoga in una quotidianità che è perlopiù mediocrità, con i guai che da decenni restano tali, e tanti di noi, più che incazzarsi, hanno imparato a convivere con il degrado culturale, sociale ed economico, sviluppando un sentimento di desolata rassegnazione.
Sviare sempre e comunque
Voltare pagina non è vietato, per carità! Però a me pare che battere il ferro di certe riforme non sia certo in cima alla classifica delle urgenze. L’attuale momento storico ce ne presenta invece altre: l’inflazione che si mangia i salari, i risparmi e le pensioni; la crisi energetica; il degrado ambientale; la Sanità e l’Istruzione ai minimi termini; la WWIII per procura.
Meloni&parenti vorrebbero farci intendere che i risultati sarebbero migliori se l’Italia avesse un un premier eletto dal popolo che, forte di tale investitura, potesse decidere sulla qualunque.
La domanda allora è questa: a che serve il presidenzialismo ? Meloni ha già de facto i pieni poteri. Ha una maggioranza (all’apparenza) solida e può contare, prima ancora che sul Girasagre, su un alleato formidabile: l’opposizione divisa, disarmata e disarmante. Il Parlamento infatti ricorda tanto quell’ “aula sorda e grigia” del famoso discorso del bivacco all’indomani dell’insediamento di Mussolini.
Passando poi da casa nostra all’ambito internazionale, è chiaro che l’atlantismo ruffiano ritrovato di Meloni non può che incassare l’appoggio incondizionato degli USA, così come i voti del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), di cui la premier è presidente, potrebbero risultare assai più determinanti per la formazione della nuova maggioranza in seno al Parlamento Europeo di quelli della nazicombriccola di Identità e Democrazia.
E se tornassimo ad informarci un poco?
Qua sopra ho il mio bel da fare a perculare la masnada di scappati di casa che governa il Paese, sistemando parenti dappertutto, ma le cose stanno prendendo una piega che va oltre il sarcasmo.
Il modello politico a cui l’attuale maggioranza sembra voler dare corpo è quello della repubblica plebiscitaria o, per meglio dire, della dittatura della maggioranza relativa: tutto si decide con la scelta del capo “dalla base”. In tale ordinamento i corpi intermedi, sindacati e partiti in testa, non trovano spazio, poiché la dinamica della legittimazione procede prima dal basso verso l’alto, con l’elezione diretta del capo del governo, e poi dall’alto verso il basso per tutti gli aspetti della vita sociale ed economica del paese.
Il capo, seguendo il ragionamento di Meloni&famiglia, è l’espressione della “volontà popolare” e, in quanto tale, non ammette rappresentazioni alternative a sé. In questo quadro, che qualche costituzionalista definisce di “democratura”, la dimensione del conflitto (e dell’ingovernabilità) non è ammessa.
Sarebbe tutto molto bello, se fossimo in massima parte nostalgici del Ventennio e binari con deficit cognitivi, ma in Italia ci sarebbe anche dell’altro. Purtroppo il forte astensionismo elettorale, sommato alla recente riduzione dei parlamentari e ora all’ipotesi di “premierato” non fa altro che spostare la politica dal confronto tra una pluralità di opinioni alla legittimazione di un sistema corporativo che si autoalimenta. Accade allora che le ragioni di chi, fuori dal coro, pensa prima di dire siano sopraffatte da chi dice senza pensare.
La proposta di riforma costituzionale sponsorizzata da Meloni, oltre a introdurre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, costituzionalizza il premio di maggioranza al 55% per le liste che sostengono il candidato premier che prende più voti. Tuttavia non è dato sapere come funzionerà questo premio, perché tutto è rinviato a una futura legge elettorale che dovrà garantire l’equilibrio tra governabilità e rappresentatività.
Prima o poi bisognerà tornare alla militanza
La sciagura rappresentata ogni giorno dal governo è accettabile, perché qualcuno li ha votati, ma solo fino a quando questi stessi personaggi non fanno la pensata di sovrapporre al sistema parlamentare, in cui gli elettori scelgono i propri rappresentanti e, al limite, pure la persona che reputano più idonea a guidare il governo, meccanismi d’ingegneria elettorale che trasformano una maggioranza relativa in maggioranza assoluta. Perché di questo si tratta.
Se la legge elettorale per il rinnovo del Parlamento prevede che una parte politica abbia la maggioranza assoluta, le elezioni non servono più a eleggere i rappresentanti del popolo, ma per eleggere due squadre: la maggioranza e l’opposizione. Inoltre, tanto il Governo quanto il Parlamento saranno viepiù controllati dagli apparati di partito, sempre più espressione di interessi corporativi prima ancora che di dialettica politica e di progettualità condivisa. E non bisogna essere fini costituzionalisti per intuire che le corporazioni oggi sono soprattutto di natura finanziaria ed anche espressione del mondo ben organizzato dell’evasione fiscale. Questo è il motivo per cui il governo Meloni, farsesco quando non tragico ai nostri occhi, continua imperterrito a comandare. Che è ben altro dal fare bene.
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