Anche al secondo turno delle elezioni comunali è stato confermato il trend negativo. Anzi, si è registrato un ulteriore calo rispetto al primo turno.
Secondo i dati forniti dal Viminale, alle ore 23 di ieri, prendendo in considerazione tutte le 1595 sezioni interessate dai ballottaggi, l’affluenza è stata del 37,51%. Al primo turno, nello stesso arco temporale, era stata del 45,43%. In buona sostanza avremo sindaci eletti anche con meno del 20% degli aventi diritto.
Non riconoscere che in Italia esiste un problema grave di legittimazione della classe politica (ma, ahimè, non di legittimità) fa pensare che non avverrà nessun tentativo di cambiare la situazione attuale.
La politica nazionale sembra soddisfatta dei risultati a prescindere dal fatto che la prima compagine del Paese è ormai quella dell’astensione e che destra post fascista e sinistra armocromista fanno insieme più o meno gli stessi numeri del partito del non voto.
A fronte del disinteresse bipartisan per un dibattito sulla legittimazione in politica, pare invece che si preferisca puntare a stravolgere la Costituzione con il presidenzialismo. Non è un caso che sia proprio la classe politica peggiore di sempre a voler reinterpretare il nostro ordinamento in senso decisionista.
Perché questo improvviso e spasmodico interesse delle élite per le riforme? Semplice, perché le riforme danno l’illusione che si possa cambiare il paese senza necessità di cambiare le élite che lo governano.
Da Meloni a Schlein, da Salvini a Conte, nessuno pare avere la più pallida idea di come porre le basi per un futuro decente, partendo da un presente a dir poco sconfortante. È vero che le sensibilità dei protagonisti sono diverse: si va dalle supercazzole su linearità e circolarità di Schlein, ai luoghi comuni da Istituto Luce di Meloni, passando attraverso i piangini di Conte per l’occasione persa (certo che Salvini e Di Maio come compagni di viaggio…) e le smargiassate del Girasagre su ponti improbabili.
Come sempre accade in politica, è un principio bipartisan facilmente verificabile, se non si ha una buona mano, si deve dissimulare. Il resto, come ho già scritto su questo blog, lo fa l’effetto Flynn inverso.
Ecco perché la politica nazionale, al netto dei proclami, sembra quasi godere dei risultati delle elezioni comunali, quando invece è evidente anche a chi costituzionalista non è che solo la partecipazione in massa dei cittadini può legittimare il potere e dargli credibilità. Anche se il risultato non dovesse piacere agli sconfitti.
Noi che la politica la subiamo per quello che è sappiamo bene che la contrapposizione che governa il Paese da trent’anni a questa parte è perlopiù assimilabile ad una differenza “estetica”. Al contrario, sul piano economico-sociale e del lavoro non vi sono grosse distinzioni. Intendo dire che per i militanti e gli elettori della sinistra colta e borghese pare non essere fondamentale che chi ha governato dalle loro parti abbia fatto le stesse cose che sta facendo ora il governo della “destra sociale” meloniana, al netto delle imboscate interne del Girasagre.
Il problema semmai è proprio l’autopercezione di una certa base della sinistra. La sensazione è che vi sia un elettorato che, nel parlare ossessivamente di fascismo e di busti bronzei, non abbia problemi contingenti di sopravvivenza, ma solo di autoproclamata superiorità culturale e morale oltre alla migliore qualità d’immagine che ne deriva.
Io credo invece che a sinistra siano molte le persone con problemi lavorativi ed economici, con figli destinati ad un futuro di precarietà, sfruttamento e con scarse possibilità di prendere l’ascensore sociale in salita.
Se non è per fare un po’ di sarcasmo, a me non impressiona affatto vedere Meloni mano nella mano con Biden o porgere il fez a von der Leyen nella speranza che ci caschi dentro qualche monetina. La “cooptazione” di Meloni nel consesso guerrafondaio Usa-Nato rimarrà tale solo fino a quando l’Italia garantirà la piena adesione all’agenda Biden, la stessa che il PD garantiva da stampella del governo Draghi.
So che qualcuno non sarà d’accordo o addirittura griderà allo scandalo, ma le battaglie di maniera su fiamme e fiammelle tricolori non sono l’obiettivo. Con fiamma o senza fiamma la natura del partito di Meloni e del governo è chiara ed è quella di ereditare le politiche economiche di Draghi a cui aggiunge una cultura, che potremmo definire post fascista, in grado di attrarre il consenso di nostalgici, anarcoidi antistatalisti, piccoli e grandi evasori fiscali, padronato, binari e fallocefali: il parterre di questi tempi.
Quel che non andrebbe dimenticato è che, di riffa o di raffa, rossobruni, neofasci e rincoglioniti a vario titolo stanno tutti dall’altra parte della barricata.
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Immagine in evidenza, Stefano Disegni su Il Fatto Quotidiano https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02mhb4xhptjXfSsTT6hB6531i62m9Qb42XjZsVYPUXbrhiSfimfoQksBft13qQ3feBl&id=657852495