Ho ascoltato qualche intervento proveniente dalla piazza dei pacifinti e, se posso permettermi di dire, uno dei peggiori è stato quello del fu Roberto Vecchioni. Tra citazioni accazzodicane di Pirandello e Shakespeare, messe lì per stabilire che l’egemonia culturale della sinistra agiata non è in discussione, mi è parso di cogliere tutto il sentore di intellettualismo stantio, autoreferenziale e pernicioso che permea la borghesia italiana che ha studiato.
Vecchioni avrebbe potuto dire, in un tardo afflato di vergogna generazionale, qualcosa come: “Scusateci ragazzi se non siamo stati in grado di portarvi in dono una società tanticchio migliore dello schifo attuale, ma non è troppo tardi. Ora tutti i benestanti, a partire da quelli della mia generazione, si tasseranno di brutto per compensare il disastro che incombe su quel che resta della giustizia sociale. E lo faranno in silenzio perché la vergogna che si cela dietro il riarmo voluto dalla Megera crucca cotonata è troppo grande per avere voce”. Invece ne è venuta fuori una réclame della pax armata in cui la cultura diventa un vezzo da esibire nel salotto liberal di Fazio e Gramellini.
Come il soldato che fugge a cavallo verso la città di Samarcanda per scoprire che la sua corsa è servita solamente ad arrivare puntuale all’appuntamento con la Morte, noi oggi stiamo correndo impazziti verso la fine della civiltà.
«Oh oh cavallo, o-oh cavallo,
oh oh cavallo, o-oh cavallo, oh oh!»
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