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I nuovi mostri

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A ben guardare, questo non è più capitalismo. Qualche ortodosso che bazzica dalle mie parti sicuramente obietterà che, se non è socialismo, deve essere capitalismo. Io però ricordo cosa diceva Rosa Luxemburg a riguardo: «Se non è socialismo, può essere barbarie».

È in atto nelle società contemporanee una specie di neo messianesimo che coinvolge, in risposta al nuovo e assolutamente deprecabile corso trumpiano, miliziani Repubblichini, la pasionaria Picierno, la dea della guerra Kallas e tutti coloro che oggi stanno comodamente seduti dalla parte dei giusti.

Credo che la riscoperta tardiva della pugna da parte dei serventi ai pezzi della corazzata del Capitale possa essere spiegata almeno in parte con l’evidente difficoltà collettiva nel capire che cosa significhi il neoliberismo. Questo gap cognitivo è il frutto di una deliberata strategia di comunicazione messa in atto dalle principali agenzie d’informazione (tv, radio, giornali, internet), tutti strumenti controllati da corporation i cui proprietari sono tra i principali beneficiari delle politiche neoliberiste.

E così non sorprende che nel sistema mediatico “worldwide” sia quasi impossibile trovare qualche opinion maker non prezzolato che dia conto del modello di sviluppo reazionario cararatterizzato dal “There Is No Alternative” dell’erinni Thatcher mettendolo in relazione di causa ed effetto con il crescente grado di disuguaglianze. La notizia
dell’aumento di queste ultime viene data, di norma, in modo assolutamente decontestualizzato, come se si trattasse di una sfiga le cui origini sono sconosciute. Triste a chi tocca, punto.

Dall’assuefazione ai principi fondamentali della società neoliberista nasce un processo di trasformazione del DNA sociale che si traduce nell’idea che ogni forma di esperienza umana, sia essa del sapere o professionale, possa e debba essere tradotta in una competizione all’ultimo spicciolo.

Con il passare del tempo le trasmissioni di intrattenimento basate sul principio che ogni cosa, persino la dignità, ha un prezzo sono divenute viepiù centrali nei palinsesti televisivi monopolizzando l’attenzione del pubblico. Gare canore, di cucina, di memoria, di coglionaggine estrema, competizioni surreali e disgustose di tette e batacchi esibiti da improvvisati survivor, isole dei famosi o quasi e, dulcis in fundo, partecipazioni a ruote della fortuna et similia hanno annoverato tra i concorrenti nientemeno che i due Mattei plasmando una società in cui il fine, purché sia il denaro e/o la gratificazione di ego da lettino di uno bravo, giustifica i mezzi.

È la società globale, baby! Quella che sta a metà tra Gordon Gekko e Patrick Bateman di American Psycho e che tanti di noi sostengono in modo acritico. Certo, magari con sensibilità diverse, ma pur sempre a difesa dell’esistente. E oggi pure con l’upgrade dell’apertura di credito verso il riarmo come condizione indispensabile al mantenimento dei privilegi di pensionati d’oro, cantanti di regime brasati da un pezzo e azionisti di Leonardo.

Come nel mito di Procuste, il tentativo di ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare e di agire subordinato alle élite sta ridefinendo il concetto stesso di democrazia: oggi è democratico solo quello che si decide all’interno della dialettica garantita da chi soffia sul fuoco del riarmo per pubblicare il suo ultimo libro, promuovere la tournée o piazzare il parente scemo.

“Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.

Antonio carissimo, quanto ci manchi!

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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