In una società dominata dal profitto a tutti i costi chi cerca di fare un po’ di analisi deve ammettere che anche il concetto di democrazia si definisce sempre più in base all’analogia con i meccanismi di mercato secondo i quali gli elettori hanno il ruolo di consumatori e i partiti quello di imprenditori per procura.
Facciamo un passo indietro
Era il 1882 e Agostino Depretis, esponente della sinistra moderata post unitaria, lanciava un appello in favore di un’auspicabile “trasformazione” dei partiti. Nella valutazione di Depretis la valenza di tale trasformazione era positiva e prevedeva il taglio delle ali estreme, repubblicani da una parte e clericali conservatori dall’altra, al fine di affidare il governo alla manovra parlamentare anziché allo scontro elettorale tra due ipotesi di governo antitetiche.
Successivamente il termine trasformismo assunse una valenza negativa diventando sinonimo di mercificazione della vita parlamentare, ma non v’è dubbio che l’evoluzione della vita politica italiana abbia più a che fare con il trasformismo nella sua valenza originaria, vale a dire quella secondo cui il governo rimane, sempre e comunque, appannaggio del “partito unico delle classi dirigenti” (Sabbatucci, G. 2003, Il trasformismo come sistema. Saggio sulla storia politica dell’Italia unita, ed. Laterza).
Gramsci sosteneva che la conquista dell’egemonia equivalesse ad acquisire il potere di fissare le coordinate all’interno delle quali si sarebbe dibattuto lo scontro politico. Pertanto la democrazia dell’alternanza che ha caratterizzato negli ultimi quattro decenni il sistema politico italiano è pienamente riconducibile all’interno di un’operazione trasformista.
Se consideriamo, come fa Gramsci, il trasformismo come figlio dell’egemonia di un gruppo sociale, non devono stupirci gli scazzi social e nei talk show tra armocromiste, insopportabili sotuttoio di stampo rigorosamente liberale e bercianti bandierine borgatare: sono tutte correnti interne dello stesso schieramento che definiscono di volta in volta le varianti del gioco.
La “novità” introdotta con il modello TINA (There Is No Alternative) e con la versione italica del berlusconismo è stata la pecorizzazione della politica alla Restaurazione neoliberale e la successiva finanziarizzazione di ogni aspetto dell’esistente. Se mai vi è stato un tempo in cui la politica ha coordinato e diretto l’economia delle nazioni, ispirandosi a qualche modello di redistribuzione, sicuramente non è oggi.
Un esempio aiuta a chiarire
Il colosso finanziario BlackRock ha presentato i dati del 2024, annunciando che la raccolta del risparmio è aumentata di 641 miliardi di dollari, portando il totale a 11600 miliardi, con una crescita del 15%(!!!) rispetto all’anno precedente. Così, se da un lato il fatto stesso di crescere a due cifre, perdipiù in un solo anno e in un mondo in piena stagnazione economica, è sufficiente ad accendere qualche lucetta, ancora più significativo è rilevare che gran parte della raccolta arriva dall’Europa. Tuttavia oltre il 65% di questo risparmio è stato dirottato verso gli Stati Uniti e, più precisamente, nel mercato finanziario e nell’acquisto di titoli del debito pubblico. In pratica quello che sta avvenendo è un costante trasferimento di risorse dall’economia del Vecchio Continente verso la finanza yankee che ne dispone, per dirla alla Giorgia, “un po’ come cazzo je pare”.
Depretis, bontà sua, non poteva certo immaginare che il trasformismo si sarebbe evoluto nel “camerierismo” e si rivolterebbe nella tomba sapendo che uno come il Girasagre occupa e continuerà ad occupare ruoli apicali in questo governo e pure nel prossimo rimpasto di impiastri, magari riciclandosi come ministro delle supposte e dei cerotti.
Il quadro è un poco mutato, ma non lasciamoci ingannare: come scriveva Tocqueville, «un despota perdona facilmente ai governati di non amarlo, purché essi non si amino tra loro». Se poi riesce a carpire loro una polizza vita e i fondi pensione, ancora meglio.
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