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Ragionare semplice, ragionare tutti

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La politicizzazione delle puttanate e la normalizzazione della bugia sono i due canoni che ispirano da tempo la vita politica italiana.

La diffusione di sciocchezze a nastro è il mood su cui si fondano le campagne elettorali e, più precisamente, da quando un palazzinaro in fissa per il grano, il pallone e la gnagna è diventato l’eroe del medioman italico. È così che minchiate colossali come “un milione di posti di lavoro”, promesso in occasione della discesa in campo, o “i ristoranti sempre pieni”, detta nel bel mezzo di una crisi economica epocale, non solo non sono servite a risolvere i problemi, ma hanno implementato l’incapacità di comprendere la realtà in cui siamo immersi.

Possiamo pensare tutto il male possibile della classe politica italiana degli ultimi quarant’anni, ma è risaputo che sono elettori inadeguati a produrre rappresentanti inadeguati. Rappresentanti inadeguati producono a loro volta Parlamenti pessimi all’interno dei quali vengono pescati i “membri” di esecutivi che si distinguono soprattutto per incompetenza. Quando si pesca fuori dallo stagno (i tecnici), non va meglio. In conclusione, è proprio il Paese ad essere diventato un palco per brocchi che ci credono applauditi da stupidi che credono.

Dopo due anni l’impressione di fondo di questa legislatura resta quella del finto derby Elly-Giorgia contornato dalla presenza, a tratti pure fastidiosa, di un coacervo di liste che spaziano dal gramsciano doc all’unicorno tipo Sardine. Tutti insieme si ergono a paladini di qualcosa, purché provenga dalla ZTL.

Ed ora, se non siete fan della Presidenta, l’Altissima Cavaliera a stelle e strisce Evita Trusk Melon, provate a mettervi nei panni di un elettore di sinistra. Per decenni ha votato con incorruttibile certezza lo stesso simbolo: falce e martello. Poi, per altri trent’anni, ha votato di tutto, di più e ora si ritrova ad essere rappresentato in Europa da Bonaccini e Picierno, personcine che fanno rivalutare le teste rasate di Acca Larenzia, o da Strada e Tarquinio, due pacifisti che dissentono in toto dalla linea non esattamente antibellicista della segreteria Schlein. Insomma, è quest’acqua qua.

A cercare di capire che cosa sia e a cosa aspiri la sinistra rappresentata dal maggior partito di opposizione, il PD, non si viene a capo di nulla. Qualunque sia la discussione interna, lo si è visto di recente con la candidatura di Orlando in Liguria, questa riguarda sempre i nomi e mai i programmi.

Non so voi, ma a me non pare di avere letto dichiarazioni di pieno sostegno del PD alle istanze della scuola, della sanità e del lavoro. E questo per la semplice ragione che questo partito è stato complice delle “riforme” che ne hanno compromesso le funzioni vitali. Se oggi la scuola, la sanità e il lavoro vivono uno dei momenti più difficili dal secondo dopoguerra, le cause vanno ricercate anche nelle sciagurate politiche economiche e sociali del PD.

Visto e provato nell’ultima configurazione, quella lettiana divenuta draghiana, Il PD ha dimostrato più che ampiamente di non avere uno straccio di idea. Dopo essersi affermato negli anni Ottanta come partito dell’establishment dei quartieri belli, va da sé che ora non abbia più un elettorato di riferimento a cui parlare di disuguaglianze economiche e sfruttamento.

L’unico modo di rinnovarsi, sempre ammettendo che il rinnovamento sia tra i propositi del PD, avrebbe dovuto coincidere con la ricerca di un nuovo orizzonte politico orientato più alla cura dei molti e meno al benessere dei pochi.

E invece no. L’unica cosa che il PD è riuscito a fare è stata di riproporre malamente la retorica del salario minimo e l’antifascismo.

Il primo resta una misura alquanto problematica, sulla cui validità lo stesso Marx aveva non pochi dubbi, dal momento che il salario minimo, in un modello ostinatamente orientato al profitto, rischia sempre di trasformarsi in salario massimo, vale a dire in un raggiro per i lavoratori.

Per quanto concerne il secondo, siamo sicuri che sia così importante scomodare ogni due per tre l’antifascismo per fare felici intellettuali di sinistra fuori tempo massimo, leader di partito senza programma ed esteti della politica con il culo al caldo?

L’Italietta con le mire di conquista e gli scarponi di cartone, orgogliosa della  mediocrità di una classe politica che non seppe mai andare oltre il fez e le meschine ruberie dei suoi ras, rappresentava allora come oggi il prodotto di un’eterna incompiutezza culturale, sociale ed economica.

L’opposizione al fascismo, per chi non usa la Storia con l’intenzione di fare del revisionismo, fu per la prima  volta il frutto di lotte che emanavano dalle grandi aspirazioni sociali che seguirono il sacrificio della vita di un’intera generazione di proletariato urbano e rurale nella Grande Guerra. Oggi, molto più modestamente, assistiamo al degrado dell’Italia dominata dal capitale finanziario, dalla smania delle privatizzazioni e dalla politica personalistica totalmente disancorata da una progettualità condivisa.

Qualche decennio fa Pasolini mise in guardia da una forma di fascismo, subdola e insidiosa, intesa “come normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società”.

Vedete, alla fine è sempre più semplice di come ci impegniamo a raccontarla.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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