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Il fascismo, anche se nazionalpopolare, resta sempre fascismo

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Fin dagli esordi il fascismo fu tante cose. In primis fu certamente lo strumento degli industriali e degli agrari per promuovere l’ingiusto profitto e ridimensionare, a suon di tonfate e “brindisi” al ricino, il diritto ad un lavoro senza sfruttamento e ad un’equa retribuzione. Se si vuole inquadrare il fascismo e le sue radici, non si può non fare riferimento al contesto storico da cui scaturì e che vide il tessuto sociale dell’Italia dilaniato e diviso dalla crisi economica successiva al dopoguerra e dai tumulti del “biennio rosso”.

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’Italia liberale di Nitti e Giolitti era in gravi difficoltà. La riconversione industriale, la disoccupazione e la gestione dei reduci erano problemi enormi. Anche i ceti medi non erano immuni alla crisi economica dilagante e nuove idee si stavano diffondendo con il rischio di far saltare il banco dell’eterno trasformismo italico.

Sul versante politico si registrarono le nascite di nuove formazioni. A gennaio del 1919 i cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, mentre a marzo dello stesso anno Mussolini fondava i Fasci di combattimento, prodromi del Partito Nazionale Fascista. Le elezioni politiche, tenutesi in quello stesso anno, videro il crollo dei liberali, che persero la maggioranza, e la crescita esponenziale dei socialisti.

Nel periodo successivo, tra il 1919 e il 1920, le tensioni sociali esplosero con scioperi e agitazioni di piazza che riguardarono sia i lavoratori delle fabbriche che i braccianti. La crisi economica conseguente alla guerra appena terminata ebbe il suo ruolo, ma altrettanto importante fu il clamore suscitato tra operai e contadini dalla Rivoluzione Russa. Fu così che le manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico, volte a sovvertire l’ordinamento dello Stato, si aggiunsero agli scioperi causati dalle difficoltà economiche. Richieste economiche e pressione rivoluzionaria finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Industriali e proprietari terrieri incominciarono a temere che i liberali e la monarchia potessero essere spazzati via dall’impeto di cambiamento dal basso e incominciarono a fare casting: il fascismo era pronto a nascere.

In quegli anni le preoccupazioni della classe politica liberale erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire la possibilità di una rivoluzione socialista. In omaggio ai canoni guida del trasformismo (ne ho scritto qua:   https://ittica.org/nuotare-con-gli-squali/  ) si cercava di escludere le istanze delle ali estreme, spesso e volentieri sparando sui manifestanti, per ricondurre la lotta politica all’interno delle dinamiche parlamentari. La preoccupazione di una rivoluzione era particolarmente sentita dagli industriali e dai possidenti agricoli che, detenendo con la monarchia parassita gran parte delle ricchezze del paese, tremava al pensiero di un riassetto sociale ed economico dello Stato.

L’Italia del re, degli Agnelli, di Giolitti, di Benedetto Croce, di De Nicola e di De Gasperi si trovò di fronte ad un bivio e scelse consapevolmente la strada del fascismo o, quantomeno, scelse di non opporvisi. L’eterna indecisione della sinistra italiana tra riformismo e massimalismo fece il resto.

Il fascismo fu anche un movimento dal basso che pescava nello scontento post bellico della piccola borghesia allarmata dalle rivendicazioni del proletariato e da sempre pronta a gettarsi tra le braccia di chiunque difenda il privilegio.

Purtroppo l’inadeguatezza culturale e la frammentazione politica del primo Novecento non ebbero scampo di fronte a Mussolini e ai suoi ras. Il comportamento del re, un uomo piccolo non solo di statura, diede il suo contributo. Vittorio Emanuele III pensava di poter usare Mussolini e i suoi sgherri come gendarmi della monarchia e invece si ritrovò relegato dal regime alla funzione di segretario del condominio Dux.

Possiamo leggere tutto quello che è stato scritto e documentato sul fascismo, ma al di là dell’analisi storica e del giudizio politico come fenomeno storico e sociale, credo che il passato non vada confuso con lo pseudo fascismo del presente che è prima di tutto un problema di salute mentale. Basta riascoltare i commenti di ‘Gnazzio Benito La Russa sui musicisti semipensionati di via Rasella, i ragionamenti di Bocchino sulle accise o le farneticazioni concettuali in salsa evoliana di Giuli per rendersi conto che la lucidità abita altrove. Tuttavia sbaglieremmo nel limitarci a perculare costoro con la solita spocchia di chi si sente superiore.

Proviamo allora a pensare che farsi fotografare con la collezione di busti del duce, scendere in strada intruppati a gridare “Presente!”, sostenere che il taglio delle accise «aiuta i ricchi a danno dei poveri», scambiare Montesquieu per Tocqueville (il redivivo Genny Sangiuliano) o pensare di curare il declino della democrazia con il premierato forte faccia sorridere, ma va da sé che in taluni casi sia anche un crimine: lo dice quel prontuario di principi incontrovertibili che è la Costituzione e che, guarda un po’, è scaturito proprio come antidoto ad un altro Ventennio. Finora.

In conclusione il fascismo non è nato in una notte sotto un pino, ma è stato il figlio della nostra storia. Quello che oggi in tanti si ostinano a vedere come una riedizione in fieri, spiace dirlo, ma è “solamente” il frutto dell’involuzione delle ideologie moderne, del fatto che le persone hanno smesso di leggere e della politica divenuta colf bipartisan del nuovo Capitale dominante, quello finanziario. Il blockbuster è sempre lo stesso, nella nuova stagione sono cambiati i protagonisti con altri più truci e sgrammaticati che fanno salire l’audience.

Il fascismo ebbe, almeno al principio, una forza dirompente, trasversale e vitalista, più retorica che concreta, ma seppe trovare il registro narrativo giusto, perché richiamava un passato mitico e prometteva un avvenire glorioso. La volontà di potenza è spesso la fonte dell’energia vincente dei regimi, ma anche il virus autogenerato che è la causa della loro rovina.

Urge un nuovo ciclo vaccinale per evitare il diffondersi della variante meloniana.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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