Qualcuno ha detto che le lacrime sono più facili da versare che da spiegare
Era il 2011 e l’allora ministra del Lavoro, Elsa Fornero, scoppiava a piangere nel bel mezzo della conferenza stampa in cui il neo insediato governo Monti cantava agli italiani rincoglioniti dalle sboronate berlusconiane e dai trionfalismi europeisti prodiani il refrain “lacrime e sangue”.
Ricordo come fosse oggi il contesto economico di speculazione finanziaria mista a incompetenza che aveva portato alla formazione di quel governo emergenziale, ma il pianto della ministra, nel pieno esercizio del suo ruolo e in un momento di drammatica incertezza per lo Stato, non si era mai visto in tutta la storia della Repubblica.
L’insolita reazione provocò le più svariate reazioni sul web. La maggior parte fu sul “com’è umana lei” (cit.) di quelle lacrime, a dimostrazione che agli italiani piace essere presi per il culo. Meno invece furono i commenti sul perché la parola “sacrificio” facesse fatica ad uscire dalla bocca di un’ipergarantita proveniente dal solito pattuglione di professoroni/liquidatori dello stato sociale.
Fu Spinoza, il famoso blog di satira collettiva, a scrivere la battuta definitiva: “La Fornero piange descrivendo la manovra finanziaria. Era la versione per non udenti”.
A ridaje con le lacrime!
Trascorsi quasi tre lustri da allora, durante i quali il vuoto culturale che attanaglia il nostro paese è arrivato a darsi un nome, quello di Atreju, polverizzando ogni record di paradosso, non potevamo certo farci mancare l’influencer, vale a dire quella figura che ha progressivamente preso il posto dell’informazione ragionata.
Accade allora di trovarsi di fronte ad una macchina da soldi da 30 milioni di follower, con marito rapper scrauso a traino, che pesta il merdone della finta beneficenza e che, beccata dall’ Agcom, piange. Eccone n’artra!
Qualche osservazione da corso base di economia aziendale, per esempio sul tasso di conversione dell’ “operazione pandoro”, sarebbe sufficiente di per sé a sfondare portoni sul fatto che l’impostazione della società consumista tardo capitalista, quella delle sacerdotesse dei filtri Instagram, regine di cuori del selfie griffato, sia in realtà l’ennesima bolla cognitivo (poco) reddituale (molto) del nulla che prova a misurare il nulla. Ma tant’è.
È il libero mercato baby!
A ben guardare, il Ferragni gate è niente di più che la dimostrazione lampante di un principio cardine dell’economia di mercato: dare valore a ciò che è privo di valore.
Capita poi che la dinamica di creazione di valori fittizi sia pure peggiore del pandoro dal prezzo gonfiato, come dimostra il caso di una nota attrice che non molto tempo fa mise in vendita su un sito di e-commerce “L’odore della mia vagina”, la candela profumata alla gnagna. Il prodotto costava 75 dollari e, a poche ore dal lancio, fu sold out.
Come si può facilmente comprendere, nella logica della società di mercato la questione del ”valore reale” delle cose è assolutamente priva di senso, poiché il valore è frutto di scelte soggettive. Nulla ha valore di per sé, ma qualsiasi cosa assume un valore, espresso dal prezzo di vendita, a patto che vi sia qualcuno disposto a spendere per averla. E il mercato, secondo la teoria liberale, ha proprio la funzione di dare un valore a tutte le cose, trovando l’equilibrio tra domanda e offerta, indipendentemente dal fatto che siano pastarelle, carri armati o sentori di passera.
È quel complesso di ragioni per cui qualche dotto liberale ogni tanto prova a spiegare il concetto di “civiltà di mercato”, nel tentativo di essere coerente con i propri principi.
Detto in estrema sintesi, non esiste alcuna gerarchia di valori o priorità nella produzione poste da autorità sociali o centri decisionali: tutte le esigenze e le scelte di vita, attività economica e consumo sono legittime. A nessuno deve essere impedito di mettere in vendita ciò che ha. A nessuno di comprarlo.
È qua che le lacrime di Fornero e Ferragni si uniscono a gonfiare le acque del paradigma socioeconomico imperante. Da un lato un’esponente di quell’élite che va sotto il nome di sinistra liberale, il famoso “centrosinistra”, ormai pienamente in sintonia con la civiltà di mercato. Dall’altro la nota influencer, espressione del modello “self made”, che di quella civiltà è un alfiere generazionale (sigh!).
Chiagnere e fottere
Per la trasformazione avvenuta in politica a partire dai primi anni Novanta, oggi ci troviamo di fronte ad un vero e proprio capovolgimento di prospettiva. Il dato più evidente è portato dalla scomparsa di ogni legame tra la sinistra e una determinata parte della società, al contrario di quanto è avvenuto a destra dove si sono mantenuti in toto gli insediamenti sociali, arrivando addirittura ad allargare il raggio di azione a quelli abbandonati dalla sinistra.
Senza le lacrime Fornero e Ferragni sarebbero con ragionevole certezza l’espressione della destra neoliberale. Con le lacrime lo spettacolo diventa una sorta di Truman show politicosocialfinanziario che prevede un meccanismo di concentrazione di soldi e potere in grado di arrivare su su fino a Elon Musk, con tutti i pericoli di frammentazione della società che si cominciano sin d’ora a intravedere.
“È il mercato che ce lo chiede” (semicit.)
Vedremo cosa accadrà quando, a giugno 2024, l’Italia e un po’ tutta l’Europa si troveranno ad affrontare non solo l’onda lunga dei rigurgiti autoritari della peggiore destra dal dopoguerra , ma ancor di più l’impoverimento culturale e di ideali di chi dovrebbe portare nuove visioni. Allora sì che ci sarà da piangere! Tuttavia non saranno Fornero e Ferragni a farlo.
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