Il 23 maggio andrà in scena il confronto tra Giorgia e Elly Schlein.
Nello squallido salotto di Bruno Vespa, cantore indiscusso della politica italiana, il partito unico dell’oligarchia guerrafondaia e predatoria di vite e di risorse celebrerà il suo congresso.
Lo scopo non è quello di approfondire le differenze tra progetti per il Paese, ma di mettere in chiaro che, al di fuori delle falsità a nastro del giornalismo da lecca e dei tailleur riempiti di fuffa, non c’è spazio per l’alternativa. E così la barca del teatrino politico bipartisan continua a galleggiare sul paese reale.
Nonostante nostalgici del Ventennio da un lato e armocromisti dall’altro si stiano appassionando al duello, caricandolo di opposte aspettative, nella realtà sinistra e destra non hanno fatto altro negli ultimi quarant’anni che limitarsi al ruolo di esecutori dei potentati industriali prima e finanziari poi.
Posso sbagliarmi, ma la sinistra, accettando la sfida, ha perso in partenza. A vincere sarà invece Vespa, puntuale nel presentarsi agli italiani come il riferimento dell’informazione imparziale, stante il presupposto che la Rai oggi è occupata dai neofascisti nè più e nè meno di come DC, PSI e PCI l’abbiano lottizzata in passato.
In “Porta a porta” si trova la conferma della politica come rappresentazione che va a braccetto con l’estrema personalizzazione sin dal tempo in cui Berlusconi vergava il celeberrimo “contratto con gli italiani”. A decidere la sfida pertanto non saranno i temi, ma una battuta fulminante, un’espressione del volto, un gesto istrionico o l’ennesima boutade. In pratica l’antitesi di ciò che che dovrebbe essere una democrazia moderna, vale a dire partecipazione, impegno collettivo e progettualità condivisa.
Tuttavia, qualora la leader del PD riuscisse ad uscire miracolosamente indenne dai sessanta minuti di faccia a faccia con quella faina politica che è Meloni , il risultato del confronto sarà quello di avere viepiù legittimato chi stenta a riconoscersi nella Costituzione repubblicana.
E qua arriviamo al punto: se la compagine destrorsa trova in Sangiuliano e nel ministrocognato il punto più alto della nuova egemonia culturale, a sinistra non c’è nessuno che arrivi da, faccia parte di o viva effettivamente a contatto con gli strati popolari che dovrebbe rappresentare. Quando va bene sono gli svolazzi lessicali di Schlein a dare l’intonazione. All’apericena patinato sono Fratoianni e il redivivo Vendola. Quando va male è Marco Rizzo.
In sintesi: la destra vince in Italia perché a destra sono più bravi a fare politica? Direi di no. La destra vince perché la sinistra in Italia o è cosa per ricchi trentenni ipergarantiti che parlano di cose, come la povertà, che non conoscono, oppure è oggetto di riflessioni accademiche da parte di accigliati ed autorevoli esponenti del pensiero colto, ma poi il sold out in libreria lo fa Vannacci.
Come ho ricordato, scrivendone altre volte qua sopra, servirebbe spegnere i riflettori dei talk show cazzari e tornare ai fondamentali: Partito e militanza. Vale a dire teoria ed elaborazione pratica. Questo se si volesse veramente voltare pagina per non continuare ad alimentare il misunderstanding che nasce dall’ostinarsi a inserire il PD nel mondo della sinistra. O pensare che le macchiette che vorrebbero ispirarsi a zio Benny siano in grado di fare di più che servire a tavola. Lo scenario odierno infatti è quello in cui le destre vincono ovunque giocando in difesa del capitale, mica perché hanno argomenti.
La retorica di stampo liberale del “capitale umano”, dell’ “imprenditore di sé stesso”, del “merito” e delle “competenze” che tanto ha contribuito a creare il blocco monocolore che campa per cooptazione è nient’altro che la cultura della casta che ha eretto un muro bipartisan e che tira a campare fin che può. Il problema, per noi che subiamo, è quello di non riuscire a politicizzare concretamente tutto questo e lasciare che sia Vespa a condurre il timone del Titanic.
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