Durante la visita lampo in Ungheria Meloni ha rievocato i bei momenti in cui, con gli occhi fuori dalle orbite e quell’aria da invasata che tanto piace ai fondamentalisti spagnoli e dell’est Europa, declamava il celeberrimo “Io sono Giorgia, sono donna, sono madre, sono cristiana e nessuno me lo può togliere”.
È ormai risaputo che in Giorgia Meloni convivono due identità: Meloni 1, la personalità tenera e coccolosa buona per l’Italia e per Bruxelles, responsabile e mediatrice, e Meloni 2, la versione per i comizi fuori porta, una Giovanna d’Arco aggressiva, populista e all’occorrenza fasciosovranista. Tuttavia nell’ultimo anno la premier, pur senza prendere nettamente le distanze da Orban, aveva fatto raffreddare i rapporti, sorvolando sul sovranismo “a luci rosse” del leader ungherese. Del resto i due governi erano divisi su questioni determinanti come la guerra in Ucraina e il Patto Europeo per l’Immigrazione, sostenuto dall’Italia, ma bestia nera dell’Ungheria e della Polonia, a causa della penalizzazione economica esercitata dall’UE su quei Paesi che non accettano i ricollocamenti.
Ecco allora che a Budapest Meloni 2 non ci ha pensato due volte a promettere “lotta dura” per difendere “l’identità delle famiglie, Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà” e ha aggiunto che “tutto ciò che ci definisce è sotto attacco e questo è un pericolo per la nostra identità nazionale, per la famiglia e per la nostra religione”. Seguono gli osanna all’Ungheria, definita “esempio perfetto di come le cose possono cambiare con la volontà e il coraggio di prendere provvedimenti necessari”.
Per non essere da meno della sua alleata di governo in casa, ma avversaria in Europa, nel weekend il Girasagre accoglierà Marine Le Pen a Pontida. L’obiettivo non è solo quello di farsi bello tra i fallocefali e binari che costituiscono lo zoccolo duro dell’elettorato legaiolo, ma quello ben più ambizioso di chi vuole presentarsi come il campione della destra dura e pura.
È fin troppo facile immaginare quali saranno i temi: i migranti, denominatore comune di quasi tutti gli interventi previsti, il vecchio cavallo di battaglia dell’autonomia, le stoccate all’Europa, alle banche, alle multinazionali, alla sinistra e alla casoûela senza i verzini.
Gli impegni di entrambi rientrano nell’ambito di quella che sarà una campagna elettorale europea lunghissima e, al contempo, un confronto tutto interno tra parenti serpenti. Da un lato #iosonogiorgia dovrà cercare di accreditare a sé i voti dell’ultraconservatorismo messianico che tanta presa fa dalle parti di Visegràd per portarli in dote, sotto l’acronimo ECR (Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei), alla destra liberale europea. Dall’altro, ma con meno chance, c’è il Girasagre con il blocco sovranista di ID (Partito Identità e Democrazia), attuppato di personaggi pittoreschi e al limite del TSO, ma che qualcuno ha pur votato.
Mai come in questa occasione i risultati delle urne potrebbero riservare sorprese e innescare un rimescolamento degli equilibri politici nel Vecchio Continente.
I partiti di destradestra, da sempre ai margini della grande coalizione che ha governato finora l’Europa, puntano a entrare nei posti di comando. In Italia, complici l’inconsistenza e le divisioni del loro migliore alleato, l’opposizione, FdI, Lega e FI se la cantano e se la suonano senza alcun timore “sondaggistico”. Fuori dai confini è più difficile.
Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia appartengono infatti a tre gruppi politici diversi: ECR per Meloni, ID per Salvini e PPE per Forza Italia, il fanalino di coda dell’alleanza nostrana, ma l’unico con i piedi ben piantati nel PPE della “coalizione Ursula” che attualmente detiene la maggioranza al Parlamento Europeo.
Dato il sistema proporzionale di elezione dei parlamentari europei, un’eventuale alleanza tra i partiti del governo Meloni non si formerebbe comunque sulla scheda elettorale, dove saranno separati, ma direttamente in Parlamento, quando i singoli gruppi dovranno convergere per formare una maggioranza ed eleggere il prossimo presidente della Commissione Europea, il “braccio armato” dell’UE.
Le distinzioni tra i tre gruppi del Parlamento europeo sono piuttosto marcate. Il PPE (e quindi Forza Italia) fa parte, come già ricordato, della cosiddetta “coalizione Ursula”, ossia l’accordo politico tra il PPE, Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (abbreviato in S&D, di cui fa parte il Partito Democratico) e i liberali di Renew Europe (di cui fanno parte Azione e Italia Viva), che sostengono l’attuale presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
La scalata al potere della premier italiana in Europa non è priva di ostacoli, soprattutto perché lo sdoganamento di post fascisti e ultrà cattolici non è ben visto dall’élite liberale. Tuttavia in Europa si respira un’aria pesante: la locomotiva tedesca ha smesso di correre, in Francia le tensioni sociali spingono verso pericolose forme di radicalizzazione, i nazi prendono voti nelle socialdemocrazie del Nord Europa e, in ultimo, la WWIII è alle porte.
L’istituzionalizzazione delle forze populiste e sovraniste che premono per entrare in partita potrebbe essere un’alternativa migliore dell’averle contro. Stando alle proiezioni dei più importanti istituti demoscopici, la coalizione Ursula avrebbe ancora sulla carta i numeri per evitare aperture all’ultradestra.
L’emorragia di voti è iniziata da tempo: il PPE, stando alle proiezioni sopra citate, a giugno potrebbe perdere tra i 20 e i 30 deputati. Anche Renew rischia un calo simile. Per fermare il trend, il presidente dei Popolari, il tedesco Manfred Weber ha avviato da circa un anno una strategia di progressivo avvicinamento all’ECR di Meloni. I conservatori, ad oggi, sono accreditati intorno agli 80 seggi potenziali.
Chi invece fa più fatica è il Girasagre. Intorno a ID pare ancora ben saldo, almeno per il momento, il cordone sanitario eretto da Macron, la cui preoccupazione principale in Europa sono i numeri di Le Pen. Per i Popolari tedeschi (ma non tutti) il dialogo con ID è reso difficile dalla presenza dell’AFD, vale a dire i nazi, divenuti la seconda forza politica in Germania e non solo. A dimostrazione del fatto che se “Atene piange, Sparta non ride”.
Dopo la benvenuta battuta d’arresto di ECR alle elezioni spagnole e dandone invece per scontato un risultato positivo in Polonia, per vedere se c’è ancora vita a “sinistra” occorrerà attendere i risultati dell’Olanda, in particolare quello di Frans Timmermans, leader del PVDA ed ex vice proprio di von der Leyen. Il partito olandese è la principale formazione politica di centrosinistra ed è l’espressione del pensiero socialdemocratico moderato.
Viene da domandarsi se la crisi sempre più evidente del modello neoliberista porterà all’ennesimo tentativo di rianimazione “in proprio” o se, per paura di perdere il timone, liberali e socialdemocratici ricorreranno all’appoggio di chi fino a ieri tuonava contro l’ Europa, cercando di contenere l’impatto del sempre più ampio consenso sociale attraverso il collaudato strumento politico della cooptazione.
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