“Magiche le elezioni, a fare promesse siamo i campioni”, canta Fabri Fibra con Colapesce e Dimartino in un brano che potrebbe essere insieme la sinossi e, un po’ lo speriamo da queste parti, l’epitaffio del governo a più alto tasso di propaganda dai tempi del Ventennio.
Il decreto Caivano è una specie di Ortro, il cane bicefalo. Con una capoccia inasprisce le pene e si ripromette di togliere con più facilità la patria potestà ai genitori, arrivando a minacciare la galera per chi non manda a scuola i figli, e con l’altra taglia i fondi per il settore sociale, sanitario ed educativo e promuove in Piemonte la legge Allontanamento Zero, che limita l’operatività di servizi sociali e giudici in merito agli allontanamenti dei minori dalle famiglie altamente problematiche.
Come per tutto quanto visto finora in capo a Meloni, parentame vario ed ora anche mitologia, c’è una contraddizione tra il “gridato” dai b(r)anchi dell’opposizione e il portato a termine come combriccola del “fatece largo che governamo noi”. (semicit.)
Quel che si vede, ahinoi, non è “intuizione, fantasia, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione” (cit.), ma il triste ricorso al solito velo dei piangini (“È tutta colpa dei governi precedenti”), alzato a dissimulare volti lombrosiani che non fanno onore al passato “eroico” di fez e braghe alla zuava.
Tutto da quelle parti sa di posticcio. E allora, quando il velo inesorabilmente cala, mostrando i grugni incarogniti dall’inettitudine, l’unica sponda che rimane è il ricorso a un evergreen: la repressione.
Che poi altro non è se non il riportarsi in sintonia con quella Storia a cui questo “gruppo di famiglia” non smette di guardare quando il presente gli dice male.