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L’economia è, tra tutte, la scienza con meno certezze. Tuttavia le poche che ha sono devastanti: ci dice che le ricchezze sono limitate e che debbano appartenere tutte a pochissime persone.

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Nel 2023 sei società hanno realizzato ricavi per 408 miliardi di dollari e ben 88 miliardi di profitti. Si tratta di Amazon, Alphabet, Apple, Microsoft, Meta e Netflix che già nel 2022 avevano realizzato profitti per 61 miliardi di dollari.

Cosa hanno in comune le sei società? Due cose:

☝️ Hanno gli stessi azionisti di riferimento: Vanguard, Black Rock e State Street;

✌️ Hanno licenziato 250 mila dipendenti nel 2023, dopo averne licenziati 160 mila nel 2022.

È più che mai evidente che in questo monopolio finanziario i super profitti generano disoccupazione. Osserviamo ogni giorno un mondo alla rovescia che Vannacci scansate proprio. Solo che non sono islamici e froci a rendercelo inaccettabile, ma la riflessione sull’affermarsi di un nuovo paradigma e su quanto pagano di imposte queste sei società e i loro “padroni”.

Tuttavia qualcuno che prova a scriverne c’è.

Alessandro Volpi è docente di Storia economica all’Università di Pisa e autore del volume “Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione” (Laterza, 2023). Per il suo lavoro ha analizzato la presenza di quattro grandi fondi d’investimento statunitensi – Vanguard, BlackRock, State Street Capital e Geode Capital Management – in alcune delle aziende a più alta capitalizzazione del Pianeta.

L’esito è notevole: “La gran parte delle aziende più capitalizzate al mondo vede la presenza di uno o più tra questi quattro fondi nel loro capitale azionario”, spiega Volpi. “Quelle poche che fanno eccezione sono spesso cinesi o attinenti al bacino del sudest asiatico”.

Proprio le grandi aziende citate nell’incipit di questo articolo (Amazon, Alphabet, Apple, Microsoft, Meta e Netflix)   sono tutte accomunate dalla presenza, tra i proprietari, dei quattro fondi americani (Vanguard, BlackRock, State Street Capital e Geode Capital Management). Lo stesso vale per giganti del settore difesa come Lockheed Martin; dell’alimentare come Coca Cola, Pepsi e Kreift Heinz; dei pagamenti come Visa, Mastercard e Paypal.

Gli stessi operatori del settore finanziario sono a loro volta contesi dai grandi fondi. Nel lavoro di Volpi figurano aziende specializzate nel private equity come Blackstone e KKR, quest’ultima al centro del dibattito pubblico italiano per via dell’imminente acquisto delle reti TIM.

C’era una volta il capitalismo di stampo fordista. Al vertice della piramide sociale sedevano i padroni del vapore, i cosiddetti proprietari dei mezzi di produzione, perlopiù industriali. Alla base stavano invece i lavoratori, nel doppio ruolo di produttori di valore e consumatori. Era quello un periodo fissato nei ricordi di chi incomincia ad avere una certa dalle lotte operaie, dalla lettura di Marx e di Keynes, dall’Austerity e dalla lotta all’ “imperialismo delle multinazionali”.

Dalla nascita di quel modello ad oggi tutto è cambiato. L’attualità non si può più spiegare con la struttura economica affermatasi duecento anni fa. E neanche ricorrendo unicamente a modelli di stampo marxista. Oggi infatti un fenomeno su tutti ha portato gli economisti ad aggiornare i propri modelli: la finanziarizzazione dell’economia.

Con questa locuzione ci si riferisce a un processo che affonda le sue radici negli anni Settanta del secolo scorso. La crisi del sistema economico creato nel dopoguerra e l’ascesa al potere nell’Occidente di politici vicini alle esigenze di un mercato sempre più libero (la deregulation di Thatcher e Reagan) hanno cambiato i rapporti di forza tra la finanza e l’economia reale. Sempre più capitali si sono spostati dalla produzione di beni (e servizi) all’attività finanziaria.

Se nel 1980 la finanza globale valeva 12mila miliardi di dollari, nel 2012 questo valore era salito a 225mila miliardi. Oggi un’ipotesi realistica parla di 500mila miliardi di dollari. Intendiamoci, il capitalismo classico non è sparito, ma è stato “affiancato”. Nel capitale azionario delle multinazionali tradizionali figurano oggi comunemente i nomi dei grandi fondi d’investimento.

Il signore del vapore è diventato signore della finanza. O il secondo è diventato il primo. O il primo ha venduto una parte della sua società al secondo. Diventa sempre più difficile orientarsi.

La finanziarizzazione dell’economia ha avuto nel recente passato conseguenze importanti. La crisi del 2008 è nata come un problema del settore immobiliare statunitense. Il fattore scatenante della crisi fu il sistema dei mutui, in particolare i mutui di bassa qualità – definiti “subprime” – ovvero mutui che venivano “regalati” a chiunque li richiedesse, senza coperture e garanzie che potessero controbilanciare il mutuo stesso. Tuttavia la gravità vera dei suoi effetti fu dovuta alla catena di prodotti che la finanza americana aveva costruito sui mutui. In quel caso le perdite del settore finanziario furono coperte da fondi pubblici. E la grande quantità di debito incamerato dagli Stati occidentali divenne la causa scatenante delle politiche restrittive degli anni ’10.

Anche la concentrazione di capitale è un tema. La grande presenza dei fondi in tutti i gangli dell’economia reale porta, ipso facto, a importanti squilibri di potere. La crisi energetica che abbiamo vissuto negli ultimi due anni è stata aggravata dalla speculazione sui prezzi dell’energia operata nei mercati finanziari. Con la politica a tutti gli effetti incapace di porre un freno a tali speculazioni.

Si tratta insomma di un fenomeno che influisce sulla qualità di vita quotidiana di miliardi di persone. Per questo è importante prenderne coscienza e sviluppare al più presto gli anticorpi.

Italo Calvino ne “Le città invisibili” scriveva queste parole: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.”

Non farla andare peggio di come sta andando sarebbe di per sé un gesto rivoluzionario.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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