Gli attori sono sempre gli stessi
A undici anni esatti dall’ultimo (disastroso) governo di centrodestra non è cambiato niente. Stesse facce e stessa dialettica fatta di solenni proclami seguiti da improbabili smentite. Allora finì quasi in tragedia con il paese che sfiorò il default. Ora invece esistono concrete possibilità di assistere ad una farsa.
Vediamo perché.
Oggi iniziano le consultazioni al Quirinale: Sergio Mattarella si appresta ad esercitare le sue funzioni costituzionali.
In base a quanto disposto dall’articolo 92 della Carta, tocca al Presidente della Repubblica nominare « il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri».
Con una maggioranza che va in frantumi ancor prima di iniziare a smantellare libertà e diritti, per Mattarella sarà un compito durissimo.
Si può sempre fare peggio
Nell’attesa di capire con quale lista di alto profilo Giorgia Meloni salirà al Colle, le prime nomine non possono certo definirsi illuminate. Al Senato va un fascista dichiarato, uno a cui forse non dispiacerebbe reintrodurre il reato di adulterio: «quando la donna tradisce è più grave», #diggiamolo. Poi, alla Camera, c’è quell’altro, il teocon leghista che faceva ospitate alle convention di Alba Dorata. Infine c’è Lei, #iosonogiorgia, una donna a capo di una “coalizione” (si fa per dire, da quelle parti tra di loro si odiano tutti in modalità “pro”) popolata di misogini e fallocrati. Quando si dice il paradosso.
Hai voglia Giorgia a proclamarti europeista ed atlantista dell’ultima ora quando, fino a ieri, raccoglievi gli applausi dei fan che gestisci in comodato d’uso con il girasagre! Non eri forse tu nel 2017 a sostenere con veemenza che «i sovranisti non si fanno dettare l’agenda di governo dalle consorterie industriali e finanziarie come hanno fatto con Renzi e Gentiloni»? E con quale supponenza poi ti appresti a governare il Paese, se consideriamo che il tuo partito sembra non avere uno straccio di classe dirigente o, se ce l’ha, pare alquanto impegnata a difendersi nei processi per ‘ndrangheta, riciclaggio, finanziamento illecito, bancarotta e corruzione (fonte: tutti i quotidiani).
Che cos’è la destra?
Ignazio Benito La Russa (ancora Lvi) nel suo discorso di insediamento pare aver raccontato che la sua famiglia è sempre stata prevalentemente di destra, ma senza manifestare ostilità nei confronti del democristiano Vincenzo (fratello di Ignazio). Inoltre, quando Ignazio ci ricorda che il padre, fascista impenitente, era di destra, quale idea di destra intende trasferire? O, forse, vuole semplicemente dirci che dobbiamo metterci il cuore in pace ed accettare l’idea che il fascismo sia una delle tante correnti del pensiero di destra.
Eh no, caro ‘Gnazio Benito, l’ometto tarchiato di cui rechi il nome e che hai dichiarato più volte di stimare, disprezzava la destra almeno quanto, conclusasi la sua esperienza da militante socialista, aveva preso a disprezzare la sinistra. La sua battaglia (spero non la tua) divenne quella di annientare la società liberale a favore di uno Stato autoritario ed illiberale per definizione, accentratore di poteri in tutti i settori inclusa l’economia. Non solo è un errore storico, culturale e politico assimilare il fascismo alla destra, ma è proprio sbagliato assimilare il totalitarismo (uguale fascismo) ad una qualsiasi categoria politica. A questo punto due sono le cose: o si è letto poco (possibile) o si è in malafede (probabile).
Naturalmente io non so se alla fine del rullo #iosonogiorgia resterà con il cerino in mano, ma pare ogni giorno più evidente che la “destra unita” è una finzione politica e che «governare questo paese delle banane non è come fare la segretaria del Fronte di Acca Laurentina» (cit. Moris Bellussy).
Intanto nel paese reale…
Il rapporto della Caritas sulla povertà uscito in questi giorni descrive una realtà di disagio economico e psicologico in continuo aumento. L’unica novità, ancora più spiacevole, sta nell’ampliarsi dei numeri della povertà minorile. Secondo i dati diffusi ci sono oltre cinque milioni seicentomila italiani che hanno bisogno di un aiuto quotidiano per cose come pagare l’affitto, una bolletta del gas da incubo o semplicemente per garantirsi un pasto giornaliero. Il rapporto ci dice che occorreranno CINQUE GENERAZIONI per risollevarsi: si chiama indigenza ereditaria.
A tutto questo la destra che sta per insediarsi replica con la promessa elettorale di abolire il reddito di cittadinanza, tipica di chi ha come obiettivo quello di mettere gli ultimi contro i penultimi per guadagnare consenso da rosiconi, pensatori binari e leoncini del tastierino. Ecco quale potrebbe essere un primo segno di distinzione identitaria tra maggioranza e opposizione: andare nella direzione dell’estensione di misure di sostegno al reddito e non della loro abolizione. Ma con Calenda e Renzi dove vogliamo andare? Dai su!
Quel che appare tristemente vero è che, seppur non condivisibili, le parole dei due leader della peggior destra liberale spacciata per sinistra riformista dicono qualcosa di economia e di libero mercato. Mentre, al contrario, il PD appare da ben prima delle elezioni giustamente perse sempre più incagliato sulle battaglie contro il patriarcato, il fascismo immaginario e a favore della schwa. Oh, non che non siano importanti per carità, ma se il livello è quello di certo unicornismo retorico da pergolato, anche no grazie. Bau.
Come andrà a finire?
Da quel che si può osservare rigorosamente da fuori e con tutti i limiti della mia bolla cognitiva, sembra che il governo Meloni non sia ancora nato e già da giorni Berlusconi lo stia indebolendo dall’interno.
Vuoi vedere che Silvio è l’unico vero argine alla deriva sovranista?
Che poi, volendo chiuderla con il solito sarcasmo, questo sarebbe pure il momento giusto per il PD di sentire il peso della responsabilità ed entrare nel nascente (?) governo di #iosonogiorgia.
Magari, stringendosi un poco, un posto ad Orlando, Guerini e Franceschini lo si trova.
Che dire, popcorn!
🇮🇹⏱️⬇️🍿
*Immagine in evidenza per gentile concessione degli amici di AQTR