Siamo un Paese morente, steso sul lettino di un pronto soccorso fatiscente. Nonostante molti si avvicendino al nostro capezzale per accampare diagnosi di ogni tipo, è tutto così maledettamente fermo. Le posizioni apicali sono in mano a vecchi reazionari che difendono un modello di sviluppo divenuto ormai insostenibile per la maggior parte di noi. Le voci critiche non sono rappresentate da nessuno, men che meno dalle sedicenti opposizioni. I giovani, appena hanno un’occasione, fuggono da un futuro senza prospettive. A casa sono rimasti solo gli sfortunati, i disillusi e quelli che hanno storie familiari economicamente interessanti.
A seguito della profonda devastazione culturale e sociale dell’Italia abbiamo perso la capacità di analisi e il senso della prospettiva. Il tifo becero da stadio ha preso il posto del ragionamento muovendosi in un loop che va a tutto vantaggio di chi campa di rendite di posizione e bieco utilitarismo spacciato per sviluppo sostenibile. Sono le discettazioni sul nulla e sul vuoto senza memoria che contraddistinguono il dibattito politico dai tempi dell’affermazione prepotente delle tv commerciali negli anni ’80. La verità, almeno quella storica, è diventata inafferrabile ed è stata sostituita dalla propaganda bipartisan. E non poteva essere diversamente, date le premesse.
La politica, lungi dall’essere una questione di razionalità, moralità o banale senso civico, è ormai relegata ad un continuo abbassare l’asticella della mediazione agendo sulle pulsioni basiche (mamma, palla, pappa, cacca, gnagna, dux) e sul risentimento. E allora ecco che si spiega in estrema sintesi il presenzialismo ossessivo da talk show finalizzato a mettere in circolazione mezze bugie, cospirazioni e discorsi da osteria. Polemizzando e provocando a turno è possibile tenere insieme un sistema in crisi ed evitare che il dissenso trovi una forma di aggregazione autonoma e trasversale.
Stabilito il contesto, è facile comprendere perché a noi che veniamo tacciati di “situazionismo” da certi campioncini della sinistra sembri di assistere ad una telenovela turca o al peggior reality targato Mediaset. Non dobbiamo dimenticare infatti che chi organizza il palinsesto lo fa avendo ben presente il livello dell’audience: un gregge che applaude qualunque sia la provenienza della fandonia, che si tratti dei tromboni di governo o dei supercazzolari della finta opposizione.
Per noi veteromarxisti la condanna di vivere in un Paese governato da quelli che sono orgogliosi sovranisti a parole, ma biechi marchettari nei fatti, sarebbe pure un logico contrappasso del lifestyle contemporaneo, se non fosse che a peggiorare lo spleen ci è toccato in eredità un gruppo dirigente autoreferenziale e inclusivo solo per i temi arcobaleno che, grosso modo a partire proprio dai famigerati anni ’80, si è collocato nella parte medio alta dello spettro sociale diventando il cane da guardia della globalizzazione prima, della finanziarizzazione poi e ora pure della WWIII a puntate.
Un esempio facile facile per facilitare la comprensione? Le accise sui carburanti. Negli ultimi trent’anni i governi di centrodestra, centrosinistra e tecnici le hanno alzate una dozzina di volte. Due casi, quelli in cui l’aumento è stato attuato del centrosinistra, sono paradigmatici del modello bipartisan che ispira chi governa. Il primo, nel 1996 (primo governo Prodi), andò a finanziare la missione delle Nazioni Unite in Bosnia, vale a dire un po’ di sana guerra per portare pace. Il secondo, nel 2013, andò invece a finanziare il cosiddetto “decreto del Fare” varato da Enrico Letta. Se non è bastato l’ossimoro nelle parole “fare” e “Enrico Letta” a farvi desiderare di aumentare l’antidepressivo, tenetevi forte: il governo dei patrioti in questi giorni di conti che non tornano si prepara ad aumentare ufficialmente proprio le accise! Una, Meloni, nel 2019 acchiappava voti di binari e taxisti incazzati con la scenetta dal benzinaio. L’altro, il Girasagre, vaneggiava di tagli tracciando righe su lavagne ospite di Porta a Porta.
L’elefante nella stanza è che la sinistra a parole vale la destra e nei fatti pure. Un conto sono le promesse fatte in tempi di elezioni, ma quando si analizzano i conti che non tornano, vengono fuori le solite parole: tagli e tasse.
Prepariamoci a pagare.
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