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Le ragioni del Capitale si possono pure comprendere, ma subito dopo bisogna combatterle

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I (v)eteromarxisti pensano in termini di Capitale, Struttura, Sovrastruttura e Materialismo Storico. In tempi post ideologici per molti ciò equivale ad un limite, un bias cognitivo da rivedere e correggere. Forse è vero, ma da quando a sinistra si è preso per buono che il capitalismo è l’unico modello di sviluppo possibile, la lotta di classe è scomparsa dai radar della maggior parte degli intellettuali lasciandoci quella con assai meno appeal letterario dei rider di Glovo e dei raccoglitori al nero di arance e pomodori. A dirla tutta, non è neanche che abbiamo visto Landini, Schlein e Fratoianni incatenarsi ai cancelli di Mirafiori per impedire il disastro Fiat. E neppure si ha memoria di una sola analisi dei campioni della sinistra progressista sui motivi che hanno condotto all’acquisizione di Repubblica da parte di Exor, la cassaforte degli Agnelli-Elkann con sede fiscale in Olanda.

Così, mentre in Italia anche chi ha un lavoro può risultare povero, capita di leggere sul Manifesto che «Elly Schlein vorrebbe invece ridare vita a quest’anima di sinistra perduta, senza nascondere che il suo vissuto politico non è legato alla storia post-comunista, essendo e dichiarandosi una “nativa democratica”. E lo fa mettendo in campo la sua carta d’identità, il suo essere femminista, lesbica, ambientalista, socialista…». Come se fosse antani.

È risaputo che oggi, con la morte economica e politica di mezzadri e operai (la lotta di classe), il sommerso di sfruttamento, precariato e nuove povertà fatica ad organizzarsi. Purtroppo la  mancanza di tempo (cercare di tenersi un lavoro e una famiglia) e di risorse (pizza e un cinemino per sembrare meno poveri) porta la gran parte di quelli che non votano a destra, o che proprio non votano, a delegare un’élite autoreferenziale e parolaia che mette sì ai primi posti disuguaglianze, precarietà, ecosostenibilità puntando ad un diverso modello di sviluppo e bla bla bla, ma poi nei fatti non va molto oltre un generico richiamo alla creatività e all’inclusività: il ritorno della supercazzola.

Chi ha una certa, ha maturato la convinzione che oggi il migliore alleato di Giorgia Dragoni non sia il Girasagre o Tajani, ma chi in un passato non lontano ha scelto il composto silenzio su trivelle, Passante, autonomia differenziata, tagli alla sanità, ai trasporti pubblici, prebende alle scuole private e urbanistica negoziata ancora a favore del privato, salvo cadere dal pero quando le Regioni vanno sott’acqua.

E allora, invece di ostinarsi a cercare differenze nel blocco monocolore che campa per cooptazione ponendosi da quarant’anni a questa parte come mero esecutore dei potentati industriali prima, finanziari poi e speculativi ora, ecco alcuni dati basici che facilitano la comprensione del capitolo economia (se n’era ragionato in precedenza qua: https://ittica.org/i-sonnambuli/)

  • Dal 1990 al 2020 i salari medi in Italia sono calati, decimale più decimale meno, del 3%. Nel medesimo arco temporale l’aumento della produttività per ora lavorata è stato del 23%, sempre decimale +/- (fonte Ocse);
  • Negli ultimi dieci anni il potere d’acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito di oltre il 4,5%;
  • Gli italiani in povertà assoluta nel 2023 erano quasi 5.752.000, pari al 9,8% della popolazione (fonte Istat): è gente che fatica a pagare l’affitto, mandare i figli in gita scolastica o andare al cinema una volta al mese;
  • Gli occupati a rischio povertà sono l’11,5% della popolazione in età da lavoro. Tuttavia, se includiamo il lavoro minorile e quello di chi dovrebbe essere in pensione per raggiunti limiti di età, la percentuale aumenta;
  • La quota di lavoratori poveri in Italia nel 2019 era del 12%. In mancanza di dati certi oggi si ritiene che la percentuale sia salita al 15%. In 5 anni!
  • L’aliquota massima dell’Irpef nel 1972 era il 72%, oggi è il 43%. La riduzione delle aliquote è divenuta una manna per i redditi più alti, mentre è una condanna a pagare per quelli medio bassi;
  • La media annuale dell’evasione fiscale in italia sul triennio 2018 – 2020 ammonta a 96,3 mld di Euro (fonte Mef, mica Lotta Comunista).

Queste ed altre informazioni sono contenute nel recente saggio di Riccardo Staglianò: “Hanno vinto i ricchi. Cronache di una lotta di classe”, Einaudi, 2024. Il volumetto, poco più di centocinquanta pagine, si presenta non tanto come un pericoloso pamphlet sinistroide quanto come una “guida” ragionata che tenta di rispondere alle domande che dovrebbero essere il cavallo di battaglia di ogni forza realmente progressista del Paese.

Cose tipo la presenza dello Stato in economia, la redistribuzione della ricchezza e la considerazione di quelli che l’economista Nicholas Kaldor chiamava fatti stilizzati. «Ovvero quelle regolarità statistiche che, a furia di ripetersi, sembravano incise nella pietra. Tra di esse la circostanza che, fatto cento il valore della produzione economica, i due terzi andavano al lavoro e un terzo al capitale. Questo rapporto, pur cambiando le tecnologie, quindi la produttività e il numero degli occupati, è rimasto inalterato per un tempo immemorabile» (cit. Riccardo Staglianò). Poi è arrivata la Thatcher, a ruota Reagan, Friedman è divenuto l’economista di riferimento della riscossa pianificata a tavolino dal Capitale con la complicità del notabilato politico bipartisan e «la pietra ha cominciato a sbriciolarsi» (cit. idem).

Mano a mano che il presente si disvela in tutta la sua drammaticità, appare sempre più chiaro che la sua vera cifra sia il surrealismo narrativo affidato a lacchè e pennivendoli. C’è da stare allegri come Ungaretti in trincea.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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