Non so chi vincerà le elezioni in Abruzzo.
La sfida di oggi è tra Marco Marsilio, governatore uscente, sostenuto da FdI (è uomo molto vicino a Giorgia Meloni), Lega, FI, Noi Moderati, Udc-Dc e Lista Civica Marsilio Presidente, e Luciano D’Amico, sostenuto da Pd, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione, Riformisti e Civici (Italia Viva, Partito Socialista, +Europa) e Abruzzo Insieme.
Il voto arriva dopo la risicatissima vittoria del centrosinistra alle Regionali in Sardegna. In Abruzzo il “campo largo” è diventato addirittura “larghissimo”, grazie a un candidato civico di spessore che è riuscito a mettere d’accordo nientemeno che Conte e Calenda (si fa per dire).
La destra meloniana, terrorizzata dal pensiero di perdere al fotofinish come in Sardegna, sta ricorrendo ad ogni mezzo nell’ambito di una campagna elettorale senza vergogna.
In principio sono state le infrastrutture, con la ferrovia Roma-Pescara prima stralciata e poi magicamente rifinanziata a pochi giorni dal voto. Ovviamente finanziata solo per una minima parte delle necessità (ne ho scritto qua: https://ittica.org/la-littorina/ ), non certo per i 5 miliardi occorrenti.
Quando il gioco si fa duro, la destra italiana si rivela sempre per quello che è: una compagine in fissa per il potere che non riesce a togliersi di dosso il vizio del populismo accattone. Che poi, a ben vedere, lo “stile” è rimasto lo stesso dei tempi in cui Achille Lauro (l’armatore, non il cantante) regalava ai comizi elettorali la scarpa sinistra promettendo di completare il paio solo dopo le elezioni.
Se c’è una cosa che Meloni e Salvini hanno capito, mutuandola dal piazzista di Hardcore, è che gli italiani, dopo decenni di populismo, sono pronti a credere a qualsiasi puttanata oppure, com’è stato per il 48% di astenuti in Sardegna, non sono interessati e stanno a casa. Tanto ha prodotto la devastazione culturale operata nel nostro paese!
A conferma del fatto che la politica destroide campa ormai di paradossi, è arrivato l’ennesimo annuncio in extremis, a urne quasi aperte: “Investiamo 200 milioni di euro in cultura in Abruzzo”, ha tuonato il Ministro Sangiuliano, sempre più fuori luogo su ogni fronte. E giù con l’elenco delle progettualità pronte a partire! Naturalmente sono tutti soldi pubblici, perlopiù distratti da altri capitoli di spesa, usati in questo contesto per raggranellare disperatamente qualche voto.
Una sola e troppo facile obiezione: se stava così a cuore lo sviluppo culturale dell’Abruzzo, come mai Sangiuliano mostra di accorgersene solo nell’ultima settimana di mandato? Vedere gli investimenti per la cultura strumentalizzati in questo modo è semplicemente un’umiliazione per chiunque lavori nel settore.
Sangiuliano, per non perdere un’occasione di rendersi impresentabile, non si è accontentato dei proclami e l’ha buttata pure sull’ideologia: “In queste ore il Pd sta frignando perché sono attivi in questa regione 200 milioni di investimenti per la cultura. Questa regione non può tornare indietro, non può tornare nella palude del Pd, non può tornare nelle mani dei comunisti, li chiamo con nome e cognome perché sono ancora comunisti, anche se il muro di Berlino è crollato, loro sono nell’intimo radicati in una ideologia nefasta e antiliberale. Diamo il nome alle cose: sono comunisti”.
Ebbene sì, questo è il tizio che una mattina è salito al Quirinale e ha giurato sulla Costituzione. E che oggi, in perfetta sintonia con sé stesso, appoggia il secondo mandato di Marco Marsilio, colui che nel 2021 annunciava: “L’Abruzzo è l’unica regione d’Italia che si affaccia su due mari… anzi, su tre, compreso lo Jonio”. Capolavoro! Punto.