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Quarant’anni sono quarant’anni
Avere a che fare con la saga di Frank Herbert non è facile da lettore, figurarsi da regista o sceneggiatore.
Un confronto tra le opere dei due registi risulta naturale a chi, come me, incomincia ad avere una certa ed ha visto il Dune di Lynch nel lontano 1984, ricavandone impressioni contrastanti. Di Villeneuve mi preoccupa la tendenza a trasformare in pippone qualsiasi cosa tocchi, soprattutto in ambito sci fi.
Ma veniamo subito al dunque: meglio Lynch o Villeneuve?
Le due opere sono diversissime, nonostante siano ispirate entrambe al primo romanzo del Ciclo di Dune di Frank Herbert, edito nel 1965. Certamente la realizzazione del film del 1984 è stata più travagliata e sia la sceneggiatura che il montaggio ne hanno risentito, risultando al botteghino uno dei più grandi flop di sempre del genere fantascientifico. Di contro i due capitoli di quella che si presenta ormai come una saga (è già in lavorazione il terzo capitolo) sono stati un successo di pubblico e di critica.
Giudicare è facile, capire un po’ meno
Va detto subito che Dune, nel rispetto di chi si è cimentato nella trasposizione cinematografica, è un’opera che ha cambiato totalmente la fantascienza per come la conoscono gli appassionati, ispirando, tra gli altri, il George Lucas di Star Wars.
Quello di Herbert è un progetto dai contenuti complessi e zeppo di sfumature, che spaziano dal messianesimo, alla metafisica, all’ecologia e proprio per queste ragioni è sempre stato problematico da portare sul grande schermo.
Lynch nel 1984 ci ha provato trasponendo il romanzo iniziale per intero. Il regista americano, appellandosi alla sua sensibilità visionaria, alla dimensione onirica e prendendosi parecchie libertà rispetto al sentiero tracciato da Herbert, ha pagato caro il suo talento ricavando, oltre al fiasco degli incassi, una pioggia di stroncature provenienti soprattutto dalla critica Usa.
Il canadese Villeneuve pare invece aver fatto centro di critica e di pubblico. Se Lynch dà parecchio spazio ai personaggi nel suo lungometraggio, cercando di approfondire quasi tutte le figure del romanzo originale di Herbert, rinunciando turravi alla chiarezza della narrazione che risulta spesso confusionaria, Villeneuve cerca di trovare una maggiore coerenza tra ambientazione, narrazione e personaggi. Purtroppo alcune figure risultano fin troppo abbozzate (il “Mentat” Hawat, il Barone Harkonnen, la Shadout Mapes), al contrario di quanto avviene per i cambiamenti narrativi e i colpi di scena che risultano chiari e definiti nell’opera del regista canadese.
Anche le scenografie di Villeneuve sembrerebbero superare quelle di Lynch, essendo da considerare quasi come elementi a sé stanti della sceneggiatura, mentre per i costumi e il trucco di Lynch, a mio avviso, non c’è competizione.
La pellicola del regista americano è coloratissima, a tratti barocca e ricca di cromatismi suggestivi, soprattutto negli abiti imperiali e nella caratterizzazione grandguignolesca del Barone Vladimir Harkonnen e della sua corte. Tale soluzione ben si concilia con le (troppe) sequenze oniriche del film. Di contro il Dune di Villeneuve è colossale in ogni sua rappresentazione, ma un po’ freddo. Tuttavia va menzionata come geniale in questo senso l’idea di rappresentare in bianco e nero Giedi Prime, il pianeta degli Harkonnen.
Un’ultima considerazione sul ritmo dei due lungometraggi: l’opera di Lynch velocizza in modo eccessivo la risoluzione degli eventi a tal punto che, nella seconda parte, la narrazione risulta priva di una direzione chiara, perdendosi in alcuni significativi tagli di montaggio la cui responsabilità pare più della post produzione e del fuori budget che del regista. Il lavoro di Villeneuve, al contrario, ha un ritmo assai più lento ed omogeneo nell’insieme dei due film. Quest’aspetto rende il lungometraggio molto impegnativo per chi non ha dimestichezza con la saga di Herbert. Purtroppo, anche in questo caso la narrazione risente delle scelte del regista e a tratti si va dall’esageratamente criptico all’abbozzato. A vantaggio di Villeneuve gioca il fatto che allunga il brodo “versandolo” su tre capitoli, può contare su una critica generalmente benevola anche quando distrugge con un sequel soporifero un capolavoro come Blade Runner e, soprattutto, dispone di un budget considerevole.
Non ci sono dubbi sul fatto che l’ultimo Dune sia superiore a quello di Lynch sia a livello narrativo che di contenuti, ma non me ne volete se Lynch continua ad avere un posto speciale nel cuore del ragazzo che fu.
In conclusione, un verdetto di parità mi pare quello più giusto.
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