Dai che oggi, se non fa “bubusettete” comparendo placcato in oro al posto della Madonnina, rossobruni e armocromisti saranno felici di archiviare lui e la disgustosa agiografia a reti e giornali unificati che in questi giorni lo celebra come ardito mix di integerrimo uomo delle istituzioni, filantropo e pater familias.
Ma siamo proprio sicuri che con Berlusconi muoia il berlusconismo?
Perché se c’è una cosa che impedisce di fare una corretta esegesi del fenomeno Berlusconi e non la parodia postuma del nemico Berlusconi è che l’italiano medio gli ha creduto ogni volta, a dimostrazione del fatto che Silvio nostro il lavoro di piazzista lo sapeva fare non bene, ma di più. E non solo perché aveva capito prima e più di tutti di parlare, per sua stessa ammissione, ad un pubblico di ragazzini di dodici anni che a scuola non stavano neppure nei primi banchi.
Berlusconi aveva le stesse istanze che una certa Italia sentiva proprie: la diffidenza verso lo Stato visto unicamente come un gabelliere, poi quella verso i partiti e, buona ultima, quella rivolta alla magistratura, considerata come l’eterno ostacolo alla mercificazione di cose e persone assolutamente naturale nell’immaginario della borghesia italica, inclusa quella “de sinistra”, disposta a tollerarlo, ma non a votarlo.
La vera impresa di Berlusconi non è stata quella di fondare, partendo da palazzinaro (s)pregiudicato, un impero televisivo poi allargato all’editoria, o un partito/azienda che nel giro di qualche mese divenne il primo d’Italia. La vera impresa di Berlusconi è stata fare sì che la maggioranza degli italiani “dodicenni” si identificasse in lui.
Dopo il 2011, l’annus horribilis in cui la congiura che vide insieme l’Europa dell’austerity e la fronda interna lo fece cadere, aveva capito che non sarebbe mai diventato Presidente della Repubblica e aveva incominciato ad individuare, seppure a parole, i suoi eredi in politica: tutti improbabili (basta vedere come addentano famelici la carcassa di FI).
Tuttavia, anche quando è giunto il declino, non è venuto il turno della sinistra. Sono arrivati invece il Girasagre (considerato da B. alla stregua dell’utile idiota) e in seconda battuta Meloni (utilizzata dapprima come figurina di riserva del traditore Fini e poi vista con astio malcelato, dopo aver capito che si sarebbe messa in proprio).
A questo punto poteva la rive gauche non dare il peggio di sé con lo schema retorico populista preso a prestito, generando la brutta copia saudita dell’originale meneghino, ossia il Cazzaro di Rignano? Diamine, se ne è accorto pure Giuliano Ferrara che “la narrazione imbastita al teatrino della Leopolda è stata l’equivalente del cielo azzurro di Forza Italia”! Stesso stile, stessa politica e stesso progetto.
Tra tutte le parole sentite su Berlusconi in questi giorni di sublimi pennellate leccaculiste bipartisan, per senso della misura, mi sono rimaste impresse quelle di Rosy Bindi sull’ “inopportunità del lutto nazionale”, giudizio di carattere morale pienamente condivisibile, e quelle più inerenti al giudizio politico di Bersani, che ha riconosciuto in Berlusconi “un osso durissimo, sia per lo strapotere economico e di comunicazione, che per la sua grande empatia nei confronti di grandi pezzi dei ceti popolari. Mentre teneva d’occhio con spregiudicatezza gli affari suoi, aveva un’ottima capacità di trasmettere generosità […] e questo mi creava non pochi problemi”.
Per tutto il resto c’è Schlein in puro nerolutto armocromista in combo con l’ennesimo svolazzo lessicale: “Sempre avversari, ma rimane il rispetto che si deve a un grande protagonista della storia del Paese”. In ZTL tutto bene, a quanto pare.
Vabbè dai, chiudiamola qua. Fai buon viaggio Silvio, tanto lo so che hai prenotato un posto nel paradiso delle “al-ḥūr”, mica la solita pallosisissima nuvoletta del kit da viaggio del buon cristiano.
In šāʾ Allāh, divertiti e non scordare la bandana e gli occhiali da sole.
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