All’insegna del pluralismo di facciata che non dovrebbe farci confondere con la miseria umana delle dittature, oggi ci sono due Italie: quella che si riconosce nei proclami di Giorgia Meloni, tra un’ovazione a Orban e una panchina condivisa con Trump, e quella che si aggrappa al verbo fluttuante di Elly Schlein, sperando che prima o poi dica qualcosa di sinistra. Magari anche solo per sbaglio.
Da una parte c’è la destra che più destra non si può, fiera e sovrana, che firma decreti come fossero cambiali: uno per le armi a Kiev, un altro per le mazzate ai poveri e uno ancora per le coccole ai costruttori. Dall’altra c’è la sinistra sempre più sinistrata, che va in tv con le sue figurine nate e cresciute al riparo delle ZTL. Gente che sa tutto sui diritti delle donne lesbiche nere e pure musulmane (sacrosanti eh!), ma non ne azzecca una sulla povertà dilagante nel Paese semplicemente perché non la riguarda.
La leader della destra è Gioggia, la donna forte. Quella che “io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana”, ma soprattutto sono amica dei ricchi, degli evasori (n.d.a.: le due categorie spesso coincidono) e dei condoni. Gioggia governa da tre anni come se avesse un’opposizione di feroci bolscevichi sotto il letto. Riforme costituzionali a colpi di machete, più poteri ai manganelli e meno ai giudici (così con il dissenso la risolviamo prima) e una politica estera degna del Risiko: abbraccia Netanyahu, faceva da badante a Biden e ora da groupie a Trump. Intanto l’Italia affonda nei dossier.
Schierata, si fa per dire, all’opposizione troviamo Elly, la donna fluida, ma così fluida che dice “dobbiamo aprire una riflessione” ogni tre frasi, salvo poi dimenticarsi di chiuderla. Elly parla un italiano perfetto, a differenza di Gioggia si vede che ha studiato, anche se il sottotesto resta quello americano e i sottotitoli sono in incomprensibilese. Elly convive con un disturbo bipolare che si riflette sul suo partito: troppo radicale per chi nel 2016 sbavava per Renzie e troppo radical chic per chi vorrebbe votarla dalle periferie ex operaie. La novella eroina dei Due Mondi rappresenta un partito che si chiama democratico, ma che riesce a perdere pure le elezioni interne. E che quando parla di lavoro, arrivi a preferirgli persino il clown di Cruciani, Marco Rizzo.
Gioggia si è presa il potere come una scalatrice del Cervino in infradito: a colpi di slogan, nemici immaginari e applausi da stadio. E adesso lo difende con la stessa grazia con cui un cinghiale difende la tana. Elly è salita sul palco della segreteria come se fosse ad una recita scolastica, promettendo rivoluzioni arcobaleno e lotta dura senza paura, ma in Ungheria.
E così, mentre le due donne simbolo di un Paese che sembra ogni giorno di più una distopia orwelliana battibeccano a favore di telecamera, gli italiani si arrangiano tra salari che vanno giù peggio del Titanic, Sanità e Istruzione che sembrano la riedizione del crollo delle Torri Gemelle, un’informazione che scrive sotto dettatura e la ggente che applaude col gobbo.
Gioggia ed Elly, due donne, una poltrona: una ci sta seduta, l’altra la sta ancora cercando con Google Maps.
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