«La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.»
Quando George Orwell scrisse “1984”, immaginò assai meglio di quanto fece Togliatti (a cui lo scrittore inglese stava sul cazzo) che una distopia sarebbe diventata il foglietto illustrativo del nostro presente.
Abbiamo guerre che non si possono chiamare guerre, ma “operazioni difensive”. Ci sono aumenti di spesa militare che fanno collassare il welfare, ma che vengono venduti come “investimenti per la pace”. E, a cantare le gesta del neobellicismo liberale, ecco i marchettari mainstream che, con l’aria grave da fine impero, leggono i bollettini della NATO come fossero il libro dei salmi. Amen.
Io avevo diciotto anni nel 1985 e il mondo, con tutte le sue storture, mi sembrava già allora non raddrizzabile. Da anarchico del tastierino sono convinto che il mondo si divida tra potenti e tutti gli altri. I primi sono quelli che “fabbricano” le istituzioni, fanno e disfano i governi tramando dietro la tenda, ma sempre più spesso alla luce del sole. I secondi sono semplicemente quelli che vengono dopo.
Avere diciotto anni nel 1985, almeno per me, non voleva dire essere necessariamente parte di qualcosa. Certo, il mondo si divideva ancora in destra e sinistra, padroni e operai, oppressori e oppressi. Oggi invece si divide in influencer e follower.
Nel 1985, nonostante ne fossi lontano assai più di quanto lo sia ora, la politica divideva e infiammava. In altre parole, costringeva a scegliere. Oggi la politica è quella che riconosce a uno come il Girasagre la stessa dignità di Berlinguer, Moro o Pertini.
C’è poi l’aspetto dello scoramento irreversibile. Chi governa in Italia? Mah, uno vale l’altro, tanto “sono tutti uguali”. Vero, è sufficiente sentire le non ricette in economia delle due lady della supercazzola, Gioggia e Elly. Nel frattempo però una smantella la Sanità Pubblica, un’altra va a difendere i salari da fame al Pride in Ungheria, un altro ancora ti svende all’algoritmo e ce n’è un ultimo che ti riforma la scuola con l’efficienza di un tornio rotto.
Ieri saltava fuori di tanto in tanto la guerra nucleare. Oggi che siamo a un passo da un buon taglio agli effettivi dell’umanità, non ci si accorge nemmeno di vivere in un conflitto permanente, che non è quello del criminale Netanyahu e dei complici del G7, ma è quello contro i diritti, contro il lavoro e contro la memoria.
I diciottenni del 1985 uscivano da scuola leggendo Gramsci e anche “La Storia d’Italia” di Montanelli. Oggi scorrono Instagram, Tik Tok e trovano un piciu arrapato in costume che luma le sise alla cubista mentre si imbiava di mojito.
Sia chiaro, nulla o quasi di ciò che accade è colpa di chi ha diciotto anni nel 2025. È che gli abbiamo tolto tutto: gli ideali, il futuro, perfino i nemici. Perché, si sa, un ragazzo senza nemici non diventa mai davvero adulto.
I miei figli hanno passato i diciott’anni da un po’. Andando a rischio di prendermi del boomer, ho ricominciato a parlare loro di lotta di classe. Ma resto umile.
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