Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi chi decide di attraversare il Mediterraneo compie una scelta “irresponsabile”. Può essere.
Invece salvare una vita è il gesto che attesta la nostra umanità, che dichiara apertamente la solidarietà fra esseri umani e che ci differenzia da uomini come Piantedosi.
È vero, salvare una vita non è solo un principio umanitario. È politica. È una modalità di intendere i rapporti tra le persone in una comunità (la polis) che si ritiene civile.
Alessandro Rocca nel suo libro ci racconta cosa vuol dire essere umani attraverso la mobilitazione e la capacità di fare rete.
Ma cosa dicono i numeri?
Il 40 per cento dei migranti arriva dall’Africa subsahariana, uno su cinque da Pakistan e Bangladesh e nel 2023 il 18 per cento arriva da Tunisia e Egitto.
Nell’80% dei paesi di origine non sono garantite le libertà civili e in molti casi il rischio di morire è almeno pari a quello di un viaggio in barcone verso l’Italia.
Il ministro Piantedosi, forse per bieca speculazione politica o forse perché crede veramente nelle parole che pronuncia, tralascia il fatto che, in molti casi, le persone che salgono sui barconi non decidono quando partire, ma salgono a bordo quando viene loro ordinato. Non è un viaggio di cui si programmano le tappe in agenzia.
Prima di tutto da dove arrivano i migranti che approdano sulle nostre coste?
Quasi due terzi dall’Africa meridionale, il 40 per cento circa dalle isole Guinea e Costa d’Avorio. Non è difficile immaginare perché: l’Africa subsahariana è la regione più povera del mondo. Secondo la Banca Mondiale, una persona su tre vive con l’equivalente di meno di 2,75 dollari al giorno e quasi nove su 10 vivono con meno di 6,85 dollari al giorno a parità di potere d’acquisto.
Importante è anche la presenza di migranti che arrivano da Pakistan e Bangladesh (uno su cinque). Anche in questo caso c’entra l’aspetto economico: il Pil pro capite a parità di potere d’acquisto vale meno di un sesto di quello italiano. I viaggi da questi paesi sembrano giustificati anche in questo caso da ragioni economiche, ma soprattutto dalla distanza ravvicinata rispetto all’Italia.
Al contrario il barcone della morte di Crotone portava un carico di migranti provenienti per lo più da Iran, Afghanistan, Siria ed era partito dal porto di Izmir, in Turchia: non proprio vicinissimo.
“Se fossi disperato, non partirei. Perché sono stato educato alla responsabilità, a non chiedermi cosa devo aspettarmi dal Paese in cui vivo, ma a cosa posso dare io”, così ha risposto Piantedosi a chi, durante la conferenza stampa organizzata il giorno successivo la strage, gli ha chiesto di mettersi nei panni dei migranti su quella barca. Parole agghiaccianti!
Che siano vecchie o nuove rotte, nessuno dei paesi da cui provengono la quasi totalità dei migranti è considerato una democrazia. La maggior parte sono considerati autoritari dal Democracy Index dell’Economist, alcuni perché dittature vere e proprie, altri perché così limitati nella libertà da esserlo di fatto, mentre i restanti sono regimi ibridi, cioè in una situazione di transizione, ma quasi mai verso la democrazia.
Ora io capisco che serva quanto avere un ombrello nel deserto spiegare a uno come Piantedosi che le stragi in mare avvengono proprio per evitare ai propri figli una vita di stenti e di soprusi. Tuttavia una cosa bisogna riconoscerla: con le sue parole, quelle di Valditara sulla preside, di Nordio sui ricchi che “paradossalmente” hanno molto da perdere e di Sangiuliano su Dante fondatore del pensiero di destra, persino i borborigmi del Girasagre sembrano discorsi da illuminati.
Accettate il suggerimento di un vecchio anarchico: collegate il cervello alla batteria di riserva, leggete il libro di Alex e poi, se è il caso, aprite la bocca. Sennò va bene lo stesso.
Non fate come Piantedosi!
🌹🏴☠️
*Fonti: Domani, The Economist, Emergency, Banca Mondiale, UE