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La convocazione in Parlamento dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, si è rivelata un boomerang per la classe politica bipartisan. Da un lato l’imbarazzo di Meloni e Giorgetti che si trovano, dopo solo due anni di promesse roboanti sulla qualunque, a interloquire con un boss del capitale manufatturiero (che è anche e in misura sempre maggiore finanziario) che li ha messi al muro parlando inglese. Sul versante opposto siamo ancora in attesa che Schlein smetta i panni della corista di J-Ax.

Sia chiaro, era doveroso che si stabilisse un dialogo almeno di natura formale con il gruppo che controlla i marchi dell’ex Fiat. Tuttavia è dall’intero spettro delle reazioni della politica, dal fingersi morta di Meloni al becero agitarsi del Girasagre passando attraverso l’eterna inconcludenza parolaia di Schlein, che si comprende appieno la dimensione dell’insipienza italiana e la totale incapacità di interloquire con una dirigenza i cui interessi non contemplano assolutamente la forza lavoro dell’Italia.

Carlos Tavares ha sostanzialmente detto che in Italia i costi di produzione sono alti soprattutto a causa del prezzo dell’energia (la guerra non paga) e per la modestia delle infrastrutture (il famoso piano di rinascita di Marchionne che Fassino sventolava in Consiglio comunale a Torino). Si è inoltre lamentato degli italiani perché comprano poche auto elettriche. Peccato che il nesso tra il regime dei bassi salari a cui la Fiat per prima ha contribuito in Italia e la conseguente difficoltà ad acquistare un’auto che costa circa il 30/40% in più di una con motore endotermico non lo abbia lontanamente sfiorato. Infine il capolavoro: Tavares ha chiesto incentivi. Anzi, più che chiedere, ha minacciato le istituzioni: “senza incentivi ce ne andiamo altrove”.

Le richieste di Tavares hanno provocato una reazione piccata anche da parte del presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, già preoccupato dalle voci, finora smentite dal governo, di possibili aumenti di Ires e Irap. “Noi abbiamo bisogno che le produzioni in Italia vengano mantenute. E chiedere ulteriori incentivi mi sembra onestamente una pazzia”, ha detto il numero uno degli industriali. Per nulla rassicurato dalle parole di Tavares è stato anche Maurizio Landini, che ha chiesto un intervento “diretto” di palazzo Chigi. Certo è che, dopo essere stato oggetto dell’imposizione sulla spalla della mano benevola di San Mario Draghi, il senso delle parole del leader della CGIL non era certo quello della nazionalizzazione.

In realtà qualche tempo fa il ministro Giorgetti, in un raro momento di lucidità leghista, aveva evocato senza poi dare alcun seguito alla sua proposta l’ingresso dello Stato (cioè noi) nel capitale di Stellantis. Pensando a come potrebbe andare a finire la vicenda, vale a dire malissimo, non ci sarebbe ragione di pensare che lo Stato debba restare fuori. L’auto, per quanto non più decisiva nella manifattura europea e ancor di più in quella ahimè globale, ha ancora una rilevanza di primissimo piano per la nostra industria e per l’occupazione. È sufficiente vivere gli effetti della deindustrializzazione a Torino e la sofferenza dell’indotto dell’automotive per rendersene conto.

Se veramente Stellantis dovesse ripensare gli investimenti in Italia, magari a seguito di una razionalizzazione dovuta alla fusione non del tutto improbabile con Renault, le conseguenze per l’ Italia sarebbero disastrose, proprio come lo sono state quelle della deindustrializzazione così gioiosamente sostenuta anche da sinistra per inseguire il mito di un paese che si illude di tirare avanti con servizi e turismo.

Piccola divagazione polemica: certi paladini del salario minimo a Roma, a Torino pagano i dipendenti tre Euro e cinquanta l’ora. E allora, ben sapendo che i settori di cui stiamo parlando sono notoriamente a basso livello di qualificazione e di forza contrattuale, qualche fine economista spieghi a noi poveri marxisti che ragioniamo di struttura, sovrastruttura e saggio di profitto come sia possibile campare di bed and breakfast, foodification e mercatini a chilometro zero nei centri storici. Per dire.

Sembrerà strano detto qua, ma delle tante dichiarazioni contro Tavares e al netto del personaggio alla perenne ricerca di consenso, solo il Girasagre ha sfanculato l’Ad di Stellantis sulle richieste di incentivi  sostenendo che l’azienda dovrebbe semmai chiedere scusa agli italiani. In realtà l’elefante nella stanza è, come al solito, la mancanza di un piano industriale.

È sempre un ripetersi di eventi, in linea con la tradizione imprenditoriale degli Agnelli-Elkann che è la stessa di Tavares: quando le cose vanno bene, si distribuiscono dividendi agli azionisti, quando butta male si ricorre all’assistenzialismo di Stato. O, se preferite l’estrema sintesi all’analisi, dimenticate tutto quanto avete appena letto e concentratevi su questo mantra del Capitale: “privatizzare gli utili, socializzare le perdite”.

Così, nell’ipotesi fantascientifica di un ingresso dello Stato in Stellantis, chi potrebbe condurre in porto l’operazione senza coprirsi di ridicolo? Quelli che oggi stanno svendendo Poste e Ferrovie a BlackRock? La groupie di Obama con scappellamento a sinistra? Dai su, qua sopra saremo pure degli inutili pizzicamerda che si limitano a fare del sarcasmo, ma occasionalmente passiamo per essere persone terribilmente serie. Mentre attendiamo che chi ne sa più di noi recuperi un briciolo di empatia, non possiamo che trarre la conclusione che, se questo presente è quanto la nostra società riesce a esprimere, ergo questo è ciò che la nostra società è.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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