La ThyssenKrupp è un’azienda tedesca, la più importante d’Europa nel settore siderurgico. Tra le molte società controllate vi è la Acciai Terni, i cui stabilimenti di Terni e Torino furono privatizzati e acquistati nel 1994 dopo una serie di vicende che, a partire dalla crisi economica degli anni Settanta, vide la Terni rientrare nel riassetto generale della siderurgia pubblica varato dall’IRI nel 1982.
In seguito al “new deal” di privatizzazioni a raffica degli anni Novanta, gli stabilimenti di Terni e Torino confluirono nella Acciai Speciali Terni (AST) fino a quando Thyssen acquisì l’intera proprietà, con la denominazione di “ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni”.
Purtroppo la narrazione è sempre la stessa, ma mai come in questi tempi, segnati dal ritorno prepotente del paradigma del “è il mercato baby”, vale la pena riflettere su chi governa come un Robin Hood bastardo e distopico che toglie ai poveri per dare ai ricchi e alle consorterie degli amici.
Oggi, se sei un loser della globalizzazione, la felicità non fa parte delle tue skill esistenziali. Al contrario, se sei un winner, nasci con doppia o tripla dose di felicità, la tua più quella di qualcuno che non ce la fa a guardare i figli negli occhi per annunciare loro la lieta novella: “siamo poveri in canna”.
È dagli anni Ottanta che ce la menano con il pensare positivo ( ricordate il claim “Milano da bere”?). Più o meno da quando un imprenditore dell’etere già palazzinaro prese a raccontare di un Paese fatto di tette, culi e disimpegno.
Adesso che si è capito che non ce n’è per tutti e che se sei povero la colpa è tua, giornaloni padronali, intellettuali mainstream e la peggior classe politica dal dopoguerra si sono messi a cantare in coro per intortarci con un artifizio semantico: la resilienza.
Oh, non si fa in tempo a cadere o a finire arsi vivi in fabbrica che già si dovrebbe flettere leggiadri come una ginnasta del corpo libero. Pardon, resiliente.
Bruciamo, ma non ci spezziamo.