Emergenza Climatica

Attivismo per l’ambiente in tempi di pandemia: un’intervista a Sara Diena.

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attivisti di Fridays for Future a Torino

L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando sembra relegare in secondo piano l’emergenza climatica, almeno nell’agenda dei mezzi di comunicazione. Ma non nel focus di Fridays for Future, movimento ispirato dalla protesta di Greta Thumberg e rapidamente diffuso in tutto il mondo. Per capire qualcosa in più di questo movimento, degli ideali che lo animano e di come i suoi partecipanti stanno affrontando le difficoltà di questo momento, intervistiamo Sara Diena, attivista e studentessa torinese.

Ti va di presentarti ai nostri lettori?
Mi chiamo Sara, ho 20 anni, sono al secondo anno di Scienze Internazionali dello Sviluppo e della Cooperazione all’Università di Torino. Sono un’attivista di Fridays For Future Torino e faccio anche parte di Libera e supporto Non Una di Meno.

Come sei venuta a conoscenza del movimento e cosa ti ha convinta ad entrare in Fidays For Future?
Ho conosciuto il movimento all’interno della scuola, non attraverso i social. Facevo l’ultimo anno di liceo e giravano queste voci: ho iniziato ad andare ai presidi a febbraio del 2019 che praticamente era iniziato tutto da un mese. Al mio primo presidio eravamo mi pare in quindici e quindi ho visto settimana dopo settimana aumentare il numero di partecipanti. Attivamente mi sono unita più tardi perchè avendo la maturità ero ancora concentrata sullo studio.

Cosa ti ha convinta a spendere il tuo impegno e le tue energie in FFF?
Allora, in parte mi ha saputo coinvolgere il gruppo di persone che pian piano è andato a crearsi, ma poi ho vissuto quella che si può dire “un’ illuminazione”: una volta, leggendo un dato sulle emissioni di CO2 e soprattutto vedendo un grafico, mi sono proprio spaventata. Mi ha colpito così tanto che ho sentito crollare le mie certezze rispetto al futuro e ho sentito la necessità di fare qualcosa.

Questa è la tua prima esperienza di attivismo?
Partendo dal presupposto che ho sempre fatto parte del collettivo studentesco della mia scuola che era già sveglio, ho iniziato a fare parte di Libera in terza o quarta liceo, quindi in realtà la mia prima esperienza è stata quella. Ma si trattava di una partecipazione molto diversa da quella che vivo oggi in FFF. Quindi forse questa è la prima esperienza di attivismo in senso stretto.

L’attivismo in Fridays For Future è molto legato alla presenza fisica in piazza. Come ha influito la
pandemia sulla vostra capacità di portare avanti la vostra battaglia?
Allora indubbiamente sta influendo e ha influito molto negativamente nel senso che tutto quello che siamo riusciti a creare in questi due anni scarsi è stato dentro la piazza, per la piazza e anche grazie alla piazza. Vedercene privati da un giorno all’altro ci ha messo in grande crisi e abbiamo dovuto tirare fuori idee e creatività per inventarci delle campagne di interviste dirette con personalità di spicco italiane e non.
Stiamo riuscendo a tenere duro e a tenere vivo il movimento, ma non riusciamo a farlo crescere e tenere alta la visibilità. A livello mediatico l’importanza della pandemia ha decisamente oscurato tutto il resto.

Quali strategie state adottando per rimanere visibili ed efficaci anche in questo momento di difficoltà?
Ci siamo cimentati con le tecnologie varie per cercare quantomeno di focalizzarci sui ragazzi e le ragazze giovani, purtroppo a discapito dei pochi più adulti che ancora ci seguono, attraverso dirette su Instagram, webinar con interviste a scienziati ed esperti. Abbiamo cercato di dare visibilità alle fonti che mettono in relazione la pandemia con la crisi climatica. Sembra una cosa banale ma in realtà c’è voluto un po’ per fare uscire questa cosa a livello mediatico: ovviamente non sono due cose separate come molto spesso le persone credono. Fortunatamente abbiamo avuto un minimo di ripresa quest’estate. Tornare in piazza è stato importante per portare un po’ di speranza ai molti attivisti che hanno passato dei momenti di grande sconforto, sia per dare un segnale alle persone all’interno della città che infatti fin dal primo presidio di persona, il 5 giugno, hanno risposto con interesse, così come allo sciopero nazionale del 9 ottobre.

Prima hai parlato di “pochi adulti”. Dal punto di vista anagrafico, FFF è un movimento molto giovane?
Eh sì è un movimento molto giovane sia a livello Torinese che nazionale che mondiale. Dall’inizio della pandemia abbiamo avuto occasione di conoscere realtà internazionali, dato che a marzo ci sarebbe dovuto essere proprio a Torino l’incontro dei gruppi FFF di tutta Europa. E sì, la partecipazione è assolutamente giovanile. Un po’ perché noi ci siamo abituati ad avere un target giovanile quindi ci rivolgiamo quasi solo ai giovani, è un po’ perché gli adulti tendono a osare di meno alla fine rimangono sempre un po’ in secondo piano, anche se sarebbe molto utile avere un supporto ma soprattutto un altro punto di vista con cui confrontarsi. E’ vero che il futuro è nostro però il mondo in questo momento non è nelle nostre mani quindi confrontarsi con chi invece ha potere nel presente sarebbe sicuramente di grande aiuto al movimento.

Come comunicate all’esterno del movimeto i vostri ideali? Quali sono i principi che vi guidano nella
progettazione della vostra comunicazione?
Primo principio in assoluto a livello comunicativo e l’inclusività. Questo sia nell’uso di un linguaggio inclusivo, sia nella pratica, secondo l’idea che chiunque abbia voglia di impegnarsi all’interno del movimento può avere un ruolo e può dare il suo contributo. Usiamo un linguaggio inclusivo perchè vogliamo far capire che la lotta per il clima riguarda tutti quanti. Alcune persone si sono lamentate dell’uso di asterischi o altri segni che cercassero di superare il binarismo di genere della lingua italiana, ma noi pensiamo che siano uno strumento importante.
Un altro principio che ci guida è un principio di giustizia sociale. Tutte le volte che decidiamo di rivolgerci all’esterno non diamo mai per scontato che alle persone sia richiesto di rispondere allo stesso modo. Mi spiego: se comunichiamo con le persone comuni, che hanno meno potere (economico e politico), non lo facciamo cercando di colpevolizzarle. Mentre se ci rivolgiamo alle persone che possono cambiare le cose e non lo fanno, allora sappiamo che possiamo utilizzare un tipo di linguaggio diverso nel senso che possiamo indicare in modo netto le loro responsabilità.
A proposito di inclusività mi vengono in mente tutte quelle cose che alcuni non credono c’entrino con la lotta per la giustizia climatica. Mi viene da dire: l’antifascismo. La nostra comunicazione punta il dito anche contro tutte le forme di discriminazione che potrebbero non sembrare correlate alla causa ma lo sono molto. Esistono dati che dimostrano che le minoranze (etniche, religiose, di genere), subiscono maggiormente le conseguenze della crisi climatica rispetto al resto della popolazione.

E la nonviolenza? Fa parte dei principi e dei metodi che mettete in pratica, sia all’interno del vostro
movimento che nei rapporti con l’esterno?
Sì, è uno dei pilastri fondanti di Fridays. Non solo a livello fisico e materiale come molti possono pensare, ma anche a livello di linguaggio. E’ difficile: è stata necessaria una formazione interna alla comunicazione non violenta perché è una cosa non scontata. Abbiamo tutti scoperto tante cose e ogni giorno cerchiamo di comportarci seguendo questi principi. Significa mettersi continuamente alla prova perchè è facile anche fra di noi sfociare in qualche discussione più accesa, magari proprio perchè temiamo che il principio di nonviolenza possa essere minacciato! Ma ci impegniamo per affrontare i conflitti in modo costruttivo.
Dal punto di vista della violenza fisica invece fortunatamente non ci sono mai stati incidenti alle nostre
manifestazioni che possiamo dire nonviolente al 100%.

Come si pone FFF nei confronti di altri movimenti e associazioni con scopi simili?
In piazza solitamente solitamente andiamo da soli, nel senso che il venerdì al presidio solitamente siamo siamo solo noi, ma abbiamo avuto diverse collaborazioni: con Extintion Rebellion abbiamo organizzato gli scioperi globali; quest’estate abbiamo organizzato una una biciclettata con Extintion Rebellion e Non Una di Meno che mirava a rendere evidente l’intersezionalità di tutte le diverse crisi che abbiamo vissuto durante la pandemia. Collaboriamo costantemente con Greenpeace nel senso che abbiamo la grandissima fortuna che molti attivisti di Greenpeace fanno anche parte di Fridays con il valore aggiunto dell’esperienza perché la maggior parte sono adulti e la maggior parte ha un passato di ambientalismo di un’altra generazione, da cui possiamo imparare molto.
Una collaborazione importante esiste con gli ambienti accademici: Università e Politecnico di Torino ci hanno sempre dato appoggio, permettendoci di organizzare assemblee aperte a Palazzo Nuovo e di avere un dialogo costante con professori di tutti i campi scientifici e non.

E la politica, come accoglie le vostre istanze?
Finora dialoghi costruttivi a livello effettivo non ce ne sono stati. Cioè i politici ci accolgono e ci ascoltano perchè non possono ignorarci, ma poi non trasformano l’ascolto in una presa di coscienza e in azioni concrete. Il vantaggio è che quando si incontrano i politici, la cosa ha una rilevanza mediatica e quindi il movimente ne guadagna in visibilità soprattutto su un target che non riusciamo a raggiungere attraverso i social e attraverso la piazza.
Abbiamo avuto anche esperienze spiacevoli, come quando durante un consiglio regionale siamo stati definiti dei catastrofisti e ci è stato detto che non possiamo parlare di temi così importanti spaventando le persone. Siamo passati da incontri di questo tipo ad altri più piacevoli, con Fioramonti, Conte e con il ministro Costa. Anche in questo caso però quello che manca è un’azione reale che dia seguito all’incontro. Fra le parole e i fatti non c’è un mare o un oceano: ci sono distanze incommensurabili.

E l’opinione pubblica come reagisce?
In questo momento la percezione di molte persone è che, di fronte alla pandemia, la crisi climatica non sia una questione urgente. E anche quando l’emergenza sanitaria sarà passata, ci vorrà del tempo perchè torni ad avere la centralità che ha avuto nel dibattito pubblico fino all’anno scorso.

Tu come vedi il futuro di Fidays for Future?
Innanzitutto lo vedo! Non sono così pessimista. Lo vedo molto intricato. Sarà difficile per due ragioni: uno perchè non abbiamo più il fascino della novità e due perchè vedo con i miei occhi tanti attivisti tirarsi indietro per il senso di impotenza che un po’ ci accompagna tutti.
Eppure lo vedo un futuro, perchè siamo gruppi di persone che si sostengono a vicenda, e questo sostegno reciproco è forse l’unico antidoto per convincerci ad andare avanti e a lottare. Ma abbiamo bisogno di tanto aiuto.

Per concludere, cosa può fare una persona che dopo aver letto quest’intervista vuole contribuire alla causa
di FFF?
Da venerdì (4 dicembre) torneremo i piazza Castello, per cui chi vorrà supportarci potrà venire a trovarci di persona dalle ore 15, rispettando sempre le misure di sicurezza anti-covid (distanza e mascherina). Oppure contattandoci attraverso i social. Non avendo uno status giuridico non possiamo raccogliere fondi ed offerte. L’aiuto più grande in realtà è fare da megafono a tutti quegli scienziati che da anni parlano dell’emergenza climatica.

Manifestazione di Fridays for Future a Torino

 

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