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“Tunisi bel suol d’amore”

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Sarebbe bene che qualche giannizzero dell’informazione spiegasse i veri motivi dell’andirivieni di Meloni e von der Leyen (con il preside Biden ad autorizzare le gite), ma forse è chiedere troppo ai giornaloni padronali come Repubblica, espressioni della buona borghesia sinistra che tanto ha fatto da mandare al governo i nipotini del pncə.

Va da sé che la destra sociale, dopo aver incassato l’approvazione di Europa e Usa, si candida addirittura a sostituto della Francia nello scacchiere occidentale.

Cosa sta accadendo?

Von der Leyen intende sostenere l’operazione del Fondo Monetario Internazionale per una richiesta di prestito da parte della Tunisia di 1,9 miliardi di Euro in cambio di riforme e di un aiuto aggiuntivo di 900 milioni di soldi europei.

Di solito è Macron ad avere una sorta di diritto di prelazione negli affari africani, ma non questa volta. Ciò detto, non va trascurata la preoccupazione degli Usa per la crisi tunisina e per il fatto che il comitato dei Brics, capitanato da Russia e Cina, si sia fatto avanti per aiutare la Tunisia e integrarla nel loro consesso, come già avvenuto in parte per l’Algeria.

Se consideriamo l’attuale divisione in blocchi contrapposti che:

✔️ aiuta gli Usa a distogliere l’attenzione dalla spinosa questione del fallimento da mega debito pubblico

✔️ ripropone la sudditanza dell’Europa chiamata atlantismo

✔️ rinnova la centralità del Mediterraneo

Non è un’eresia sostenere che il viaggio diplomatico di Meloni ha sì una grandissima rilevanza, ma certo non per discutere di immigrazione. Perché dei morti in mare, #diggiamolo, frega un cazzo a nessuno.

Come tanti che non sono élite, anch’io sono conscio del fatto che in un paese incagliato sull’armocromia, il politically correct, il diritto alla genitorialità delle (ricche) coppie gay, il saluto fascista alle parate (che figure dimmerda si fanno con l’antifascismo di maniera!) e altre baggianate per borghesucci annoiati, altri temi abbiano poco spazio.

Sicuramente non è d’aiuto “l’opera pedagogica di depoliticizzazione del paese” operata dagli organi di stampa come Repubblica e neppure la regressione del giornalismo a sdraiata propaganda verso il divo di turno, in pratica il Vespa style.

Il punto è un altro.

Pur detestando con tutto me stesso questo governo di post fasci e arraffoni in genere, ritengo che un’opposizione con due idee buone non debba necessariamente ridursi a fare una contropropaganda gnegne, per cui tutto quello che fa Giorgia Meloni, a partire da quell’idrovora di denaro pubblico per amici e mafie che sarà il Ponte, non debba essere preso sul serio. Così facendo, cioè senza uno sguardo realista sui grandi intrecci internazionali che Meloni sta tessendo, rischiamo di trovare a governarci tra vent’anni sua figlia Ginevra.

Non sarà con le sliding doors di facciata, ma solo con un radicale processo di profonda trasformazione umana, anagrafica, culturale e sociale del corpo della sinistra, PD in testa, che si potrà pensare di recuperare il Paese dalle mani di quei fenomeni da baraccone che è ben vero che campano di slogan, ma sono altrettanto bravi ad esaltare gli odi, mettendo in pratica il “divide et impera”, oltre ad essere al contempo padronali nel difendere gli interessi dei pochi e populisti nel rassicurare l’inferiorità dei molti.

Non c’è che dire, il maquillage in corso d’opera della destra meloniana è assai più efficace dell’atteggiamento di chi proprio non gliela fa a non far trapelare il percepito di sé come un’oasi abitata dai migliori, nel mezzo di un Paese che gli è estraneo e nei cui confronti sente di non avere alcuna responsabilità.

Se è vero che in principio è l’intelligenza a riscuotere credito, quando questa finisce con l’autocompiacimento, è la furbizia che passa all’incasso.

Ginevra deve solo avere pazienza.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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