Perché una cosa bisogna dirla senza moralismi inutili: la parte del PD che ama la separazione delle carriere è la parte che esiste da prima del PD stesso. È una genealogia. È un lignaggio. È un hardware permanente. È la parte che considera da sempre la giustizia materia da architettare, non da applicare.
E allora la convergenza bipartisan diventa così pulita da risultare imbarazzante: Meloni apre lo show e Schlein lo sterilizza dal rischio. Intanto la manovra con i tagli e le non risposte rimane nella tasca delle rispettive giacchette, in orbace per una e in pura vigogna per l’altra.
L’opinione pubblica, sempre più imbruttita, si limita a dissare e mettere faccine accazzo sui social in questo wrestling politico di cui non avrebbe proprio bisogno. Infatti lo scontro non produce effetti collaterali sul potere, ma solo sull’impoverimento culturale e materiale del Paese.
Il vero conflitto, in tempi di democrazia mediatica, è quello simulato che permette di non affrontare quello reale. Proprio come nello show farlocco importato dagli USA, le due contendenti sembrano darsele di santa ragione, ma “619” e “RKO” sono tutta scena.
Ricapitoliamo in forma comprensibile sia ai nostalgici dello yo-yo di Piazzale Loreto che agli unicorni armocromisti: Meloni deve evitare di essere responsabile di una possibile sconfitta referendaria, quindi finge equilibrio istituzionale. Tuttavia, nel dubbio, da qui alla primavera 2026 la vedremo comunque ripetere la tiritera delle toghe rosse in ogni dove. Del resto, quando i tuoi elettori sono in massima parte fanlocefali bocciati in V elementare che si sentono in diritto di dissertare di giustizia e di separazione delle carriere manco fossero Beccaria, fai bene a tenerteli buoni.
Dal canto suo, Schlein deve evitare di spaccare – ancora – il PD su una riforma che vede metà del partito stare col “sì”, quindi si affretta a depoliticizzare la posta in gioco. Metti che il fronte del “no” perda male e a Baruffi&Taruffi tocchi tornare a scrivere copioni per Bonaccini o Gentiloni.
In pratica l’una e l’altra devono evitare che il cittadino concentri l’attenzione sulla Legge di Bilancio e, di fatto, ci riescono benissimo.
E allora la riforma della giustizia non serve a spaccare. Serve a coprire. E in questo c’è quasi una bellezza oscura da Sith, come se Undertaker salisse sul ring con il cappuccio invece che col cappellaccio. C’è maestria mimica in tutto questo. È teatro borghese in forma perfetta.
Meloni e Schlein non sono nemiche.
Sono colleghe di settore che recitano due personaggi di antagonismo addestrato dentro lo stesso sistema di interessi. Proprio come accade nella WWF.
Il referendum è solo il loro nuovo format stagionale.
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