Alla soglia dei sessant’anni manco provo a fare il confronto tra la musica che ascoltavo (e ancora ascolto) io e la trap o cosa diavolo è la roba che fa Tony Effe.
Credo che ogni epoca abbia una sua colonna sonora e le linee musicali scritte con Logic Pro, i testi infarciti di machismo e bamba e le voci taroccate con l’autotune rispecchino pienamente il nostro presente fatto di semplificazione e desertificazione. Oddio, chi come mio figlio suona un paio di strumenti, produce musica e padroneggia Logic Pro, avrebbe forse qualcosa da eccepire, ma restiamo su Tony Effe.
Il ragazzo è un rapper, trapper o qualunque cosa voglia definirsi. Come molti artisti canta testi eccessivi, a volte palesemente osceni, che non piacciono né al pubblico simply della destra bigotta mononota, né a quello fintoprogressiv che adora la chitarrina di Gualtieri. Piace invece, guarda un po’, a molti adolescenti perché parla del loro mondo col loro linguaggio. Non è De André e neppure Battisti, che sono il prodotto di altri tempi e tali restano, ma piace un botto. Fin qua ci siamo?
Bene, allora capita che Il Comune di Roma arrivi a capire che Tony Effe attira gente e in un primo tempo lo invita al Concertone di Capodanno, che tutto è tranne che un ritrovo del Rotary.
Apriti cielo! Una fatale congiunzione astrale di laici e bigotti, maschi, femmine e femministe, di destra e di sinistra, si palesa dal sottobosco liberallombrosiano che li accomuna e grida allo scandalo.
Il sindaco menestrello Gualtieri cede alla vox populi censoria e revoca l’invito, mentre la sua segreteria si affretta ad assicurare che non sarà lui a salire sul palco improvvisando qualche “osteria”. Infatti il primo cittadino ha cose ben più importanti da non fare, come non riuscire a tappare le buche che devastano le strade della città o non raccogliere i rifiuti che sono oggetto degli scatti dei turisti giapu almeno quanto lo è il Colosseo.
Risultato: gli altri cantanti si ritirano per solidarietà col censurato. Nel frattempo Il medesimo prenota il Palaeur per il 30 e pure per il 31 dicembre facendo subito sold out, il Concertone va deserto e non vorrei che Gualtieri, per metterci una ponza, chiamasse ad esibirsi la sua band: Schlein al flauto di Pan, Calenda alle tubular bells, Meloni al megafono, Salvini alle scorregge e le femministe a ‘sta cippa.
Una cosa bella dei tempi miei, il famigerato secolo delle ideologie, era che si aveva la fortuna di cantare «è andata a casa con il negro la troia» o di dedicare una canzone alla bazziga (Disperato erotico stomp) senza che orde di neo moralisti liberal la facessero tanto lunga. O, se pure la facevano, gli si dedicava un vaffanculo.
Erano i tempi in cui il femminismo parlava di parità salariale, le ascelle pelose non erano un vezzo da esibire, ma un feticcio sessuale che richiamava certe chine de “Il Tromba” viste a sgamo dal parrucchiere e la woke culture non scassava i cabasisi dalle ZTL.
La censura è, tranne rare eccezioni, una forma di prevaricazione operata da chi, non capendo un cazzo, si sente in dovere di bacchettare gli altri, ma quella bipartisan non fa che evidenziare il livello di rincoglionimento ipocrita di questo paese.
Intanto, poveri liberalotti, Tony Effe se li incula tutti fatturando. E scusate se sono greve.
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