Sale pericolosamente la tensione in Medio Oriente: Israele ha colpito un edificio del consolato iraniano a Damasco, uccidendo il generale dei Pasdaran che gestiva i rifornimenti di armi a Hezbollah, e la guida suprema di Teheran, Khamenei, promette ritorsioni.
Il ministero della Sanità di Hamas ha annunciato la morte di 4 operatori umanitari stranieri e del loro autista palestinese in seguito ad un attacco israeliano contro il loro veicolo nel centro della Striscia di Gaza.
L’azione in Siria è il chiaro tentativo da parte di Netanyahu di allargare il conflitto. La sopravvivenza politica della cricca di corrotti che governa Israele è strettamente legata alla prosecuzione della guerra e al più bieco affarismo.
Sotto questo profilo il complesso militare-industriale, in primis quello statunitense, rappresenta un’area di convergenza sempre più importante per comporre gli interessi capitalistici di soggetti finanziari e manifatturieri in un momento in cui si profila un nuovo rallentamento delle economie occidentali.
Viviamo in un’epoca in cui i populismi illiberali di destra trionfano nella funzione di temperamatite della restaurazione neoliberale. Dal canto suo il cosiddetto progressismo “de sinistra”, dopo aver cantato per decenni nel coro del pragmatismo global in economia e del mero mantenimento del potere in politica, appare oggi assolutamente inadatto a suscitare consapevolezza e a indicare prospettive utili a illuminare un orizzonte che superi in qualche modo l’attuale paradigma socioeconomico.
Tutto questo a prescindere dall’autorevolezza delle candidature alle prossime europee: è proprio un problema di rappresentanza.
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