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Gli italiani sono il popolo più governabile del mondo: adorano ascoltare grandi discorsi per accontentarsi di fatti piccoli

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Dopo la passerella tanto ruffiana quanto inutile della coppia Meloni-von der Leyen a Lampedusa e quella di doppio misto Le Pen-Girasagre sul pratone di Pontida, uno si aspetterebbe il de profundis mediatico di questo governo.

Come se non bastassero le esibizioni pubbliche a inchiodare il coperchio della bara a chi ha promesso mari e monti senza avere uno straccio di progetto che andasse oltre la propaganda, a giorni il governo dovrà far uscire le prime stime per la legge di bilancio 2024.

Dopo i conti sbagliati sul superbonus e le previsioni sulla crescita rivisti al ribasso, il ministro Giorgetti ci ha informato via piangino, la velina standard del governo  Meloni, che il pagamento del debito, a causa dell’aumento degli interessi voluto dalla BCE, costerà all’Italia altri 15 miliardi.

Non potranno certo continuare ad inventare un nemico o un complotto ogni giorno! Meloni non riuscirà a sviare per altri quattro anni ricorrendo alle cazzate del ministro cognato, del giornalista compagno o all’avanspettacolo dell’amico nemico Salvini. E non troverà un Sallusti o un Vespa sempre pron(t)i a “biografarla” con pennellate di lingua che neanche i maestri fiamminghi.

Dal canto suo l’opposizione potrà meritarsi tale appellativo solo se saprà concentrarsi su tre temi cruciali: redistribuzione del reddito, Sanità e ambiente.

Solo per dire di uno, la Sanità: a che cosa serve l’elemosina di qualche euro in più in busta paga, se poi se ne devono spendere centinaia per curarsi? Sappiamo tutti ormai che per una visita specialistica o per la diagnostica strumentale, se non si vuole morire di attesa, si deve pagare di tasca propria. È ancora più evidente che, senza una Sanità Pubblica di qualità e accessibile, ad essere penalizzate sono soprattutto le persone fragili, i pensionati e i ceti che dall’attuale modello di sviluppo “tassa il poraccio premia il furbastro” non ricevono altro che tortorate.

Oggi Mediobanca ci dice che i salari italiani hanno perso il 22% del potere d’acquisto in un anno. Nello stesso anno le imprese hanno fatto il 26% in più di profitti. In mezzo dieci milioni di poveri. Un quinto del Paese.

Diciamola tutta: bisogna pensare convintamente di stare a sinistra non solo per le questioni di genere e la maternità surrogata, perché in questo caso si tratta di essere progressisti. Invece è sui temi economici che si vede la linea di demarcazione tra chi vuole più Stato e chi più mercato e tra chi ha letto due righe di Keynes (oh, mica è quel comunista di Marx!) e chi si fa le pippe con l’intersezionalismo.

Così, mentre Meloni rimesta abilmente nel trogolo dell’analfabetismo funzionale dell’elettorato per dissimulare la totale assenza, nella sua compagine, di una classe dirigente con un humus realmente liberale, l’Italia resta con i problemi di sempre: nessuna grande industria, pochissimi investimenti privati (Briatore e la madama Garnero? Ma dai su, siamo seri!) e zero pubblici. Nessuna capacità di spesa del PNRR, infrastrutture inesistenti, evasione fiscale mai vista prima e fuga di massa dei giovani verso l’estero (chi di sostituzione etnica ferisce…).

Oggi in Italia si vive costantemente sul filo del paradosso: chi fino a ieri tuonava contro l’agenda Draghi, ora governa consultandola. Chi sta all’opposizione, la fa al suo stesso programma. In mezzo il paese reale, sempre più povero e sfiduciato.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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