L’emergenza sanitaria nel Paese si interfaccia non solo con i temi della salute fisica, ma anche con la complessità delle famiglie e le fragilità sociali. Ne parliamo con Monica Canalis, consigliera regionale e vice segretaria del PD del Piemonte, impegnata da donna e da politica sui temi della progettazione sociale e cooperazione allo sviluppo.
Ittica: parliamo subito di minori. Nei giorni scorsi si è conclusa l’indagine conoscitiva, durata un anno e mezzo, sulla tutela dei minori in Piemonte. Vuole riassumerne per Ittica i risultati, facendo ulteriore chiarezza sulla visione della Giunta Regionale che parrebbe incentrata, con il ddl “Allontanamento Zero”, più sugli aspetti ideologici ed economici relativi agli affidi?
Canalis: il sistema piemontese è sano, ricco di professionalità di prim’ordine, fondato su una tradizione normativa, procedurale, operativa e di Terzo Settore che per molti aspetti ne ha fatto un apripista e un modello per il resto d’Italia, ma è affaticato ed indebolito dalla carenza di personale e di risorse e dalla scarsa omogeneità territoriale ed integrazione tra comparto sociale, educativo e sanitario, che rischiano di rendere gli allontanamenti tardivi”. Questa è la diagnosi dei gruppi consiliari di minoranza in Consiglio Regionale, al termine dell’Indagine Conoscitiva svoltasi da ottobre 2019 a luglio 2020.
In Piemonte è sbagliato parlare di “allontanamenti facili”, in numero eccessivo o motivati dalla povertà economica. Il 96,44% dei 60.068 minori presi in carico dai servizi sociali al 31/12/2018 era seguito in famiglia e il 58,17% dei 2.597 minori fuori famiglia era riconducibile alle seguenti tre tipologie: Minori stranieri non accompagnati (17,67%), affidamenti intra familiari (24,68%) e affidamenti consensuali (15,82%). Solo il restante 41,83% dei minori fuori famiglia è rappresentato da allontanamenti giudiziali extra familiari. Si conferma pertanto che nella maggior parte dei casi l’allontanamento è l’extrema ratio, come previsto dalla Legge 184/1983, è consensuale, intrafamiliare o riguarda i minori soli provenienti da altri Paesi. Le cause più frequenti di allontanamento sono inoltre legate a carenze educative, problemi psichiatrici o dipendenze dei genitori e non alla povertà materiale. Il problema dell’eccesso di allontanamenti in Piemonte o dell’allontanamento fatto esclusivamente per carenza di reddito è dunque un problema che non esiste ed è stato circondato da una propaganda, politica e mediatica, che nuoce gravemente a tutto il sistema dei servizi e della rete di volontariato, che dimentica i dati di un contesto socialmente sempre più disgregato, tradisce un forte pregiudizio verso gli operatori, verso il lavoro fatto in passato anche dalle giunte di centrodestra, verso i poveri, verso le famiglie affidatarie, verso la gravità dei maltrattamenti di natura psicologica accanto a quelli di natura fisica.
In Piemonte occorre piuttosto un dialogo sereno e aperto con tutti gli attori coinvolti ed una concreta dotazione di risorse finanziarie per rafforzare le professionalità e le progettualità in campo.
Non basta lasciare i bambini in famiglia, ci vogliono più servizi a servizio delle famiglie e bisogna ripensare in modo organico i diversi interventi, prevedendo una maggiore collaborazione tra il settore educativo, sanitario e sociale ed una maggior omogeneità territoriale.
Ittica: sembra che l’assessore Marrone abbia replicato al vostro documento accusandovi di avere un paraocchi ideologico. Vuole aiutarci a capire se è in atto una narrazione in “stile Bibbiano”, oppure se c’è sostanza in queste affermazioni?
Canalis: non abbiamo riscontrato in Piemonte errori “certificati” più numerosi di quelli riguardanti altre Regioni italiane (vedasi il dato sul numero di allontanamenti disconfermati in sede giudiziale dal giudice superiore – Corte di Cassazione e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – riportato da Joelle Long in audizione), ma c’è la constatazione di una eccessiva mole di lavoro praticamente per tutte le tipologie di operatori (assistenti sociali, educatori, psicologi, neuro psichiatri infantili, operatori dei Serd, degli ambulatori territoriali di psichiatria adulti, delle commissioni di vigilanza delle Asl, del Tribunale…) che potenzialmente aumenta il rischio di errori. Oggi in Piemonte non servono :
- le nuove figure proposte dalla destra (operatore dell’affido temporaneo, giudice dell’urgenza, garanti dell’infanzia provinciali, ulteriore commissione di vigilanza regionale, altro garante regionale rafforzato con funzioni di controllo…), che appesantirebbero un sistema già ricco ed articolato,
- prescrizioni progettuali rigide e non attuabili (come l’aggiunta di vincoli indistinti per la durata dei progetti familiari), che porterebbero ad un ulteriore ritardo negli interventi con effetti molto gravi sul benessere dei minori,
- affermazioni fondate su convinzioni che ci portano indietro di almeno cinquant’anni nel dibattito culturale sulla tutela dei minori (la prevalenza dei legami di sangue o la prevalenza del diritto dell’adulto su quello del minore)
Ittica: esistono dati che possano essere utili ad evidenziare una relazione tra le condizioni dei minori all’interno di famiglie “a rischio” e la pandemia e quali strumenti ha predisposto la Regione, se lo ha fatto, per accrescere la tutela dei minori in un quadro complessivo in cui l’indigenza non sembra essere l’unico fattore determinante?
Canalis: la pandemia ha certamente accresciuto la solitudine dei minori all’interno di famiglie “a rischio”. Infatti, a differenza delle normali condizioni, i minori per molti mesi non hanno frequentato la scuola e non sono usciti di casa, riducendo i contatti con insegnanti, forze dell’ordine e medici, che rappresentano le principali fonti di segnalazione del disagio minorile. Inoltre, il congestionamento della sanità ha reso più difficile l’intercettazione dei problemi non connessi al Covid. La Regione fatica anche in tempi normali ad affrontare le criticità sociali con un personale sociale e sanitario decisamente sotto organico ed ora è ancora più in difficoltà. Non si registrano pertanto progettualità aggiuntive per intercettare il disagio dei minori all’interno della famiglia. Anche sul fronte della formazione professionale, che è competenza esclusiva della Regione e che in Piemonte coinvolge 17.000 adolescenti e giovani, ritengo che si potesse fare di più, ad esempio finanziando i devices per le famiglie svantaggiate che non riescono a offrire condizioni adeguate per seguire la formazione a distanza. Emilia-Romagna, Liguria e Veneto hanno già finanziato questa misura, il Piemonte no.
Ittica: come valuta il fatto che le scuole siano in massima parte ancora chiuse e che la DAD non sia una certezza per tutte le famiglie? Perché il business sì e la cultura poi? Non è anche così che si contribuisce a istituzionalizzare il disagio?
Canalis: idati ci consegnano un quadro allarmante: il 20% dei ragazzi non riesce a fruire della didattica a distanza perché non possiede un pc, non ha la connessione a internet, non ha il supporto dei genitori nello svolgimento die compiti o non ha gli spazi domestici adeguati. Significa sacrificare un’intera generazione, che ha nella scuola non solo un punto di riferimento educativo, ma anche un luogo di socialità. Senza scuola i ragazzi sono più esposti a depressione e problemi psichiatrici, oltre a regredire nel loro sviluppo evolutivo. La scuola è un servizio essenziale al pari della sanità e avervi rinunciato invece di riorganizzare i trasporti o monitorare i momenti di ingresso ed uscita è stato un grave errore che pagheremo anche in termini di Pil e produttività.
Ittica: veniamo alla ludopatia. Esiste una proposta di legge della maggioranza che vorrebbe abrogare alcuni contenuti della legge del 2016. Anche su questo tema sembra emergere una “visione” che sposta la prospettiva da un quadro di problematica sanitaria ad uno, più prosaico, di danni subiti dagli esercenti. Come si può pensare che in un Paese in cui le ricchezze si stanno sempre più concentrando, anche a seguito della pandemia, il gioco non possa diventare una schiavitù psicologica per chi, da escluso, pensa di usarlo come ultima risorsa?
Canalis: il gioco d’azzardo patologico (GAP) rappresenta un vero e proprio dramma socio-sanitario, che colpisce principalmente le fasce più deboli della popolazione.
Da un punto di vista sociale aumentano i casi di crisi familiari scaturite da situazioni di dipendenza da GAP e di forte indebitamento da parte dei soggetti coinvolti.
In questi anni abbiamo assistito a una crescita costante del dato relativo alla quantità di denaro utilizzato dai cittadini per il gioco d’azzardo. Si è passati dal 47 miliardi del 2008 a 105 miliardi raccolti nel 2018. Si tratta di un dato che porta l’Italia in vetta alla classifica delle nazioni in cui si gioca e si perde di più: la quarta al mondo dopo USA, Cina e Giappone. Molto di più che in Gran Bretagna, Australia, Francia e Germania.
Una domanda di gioco che è cresciuta a causa di un eccesso di offerta che, da quando lo Stato ha deciso di “fare cassa” con il gioco d’azzardo, è aumentata e ha raggiunto ogni luogo e spazio di vita dei cittadini.
Di fronte a questa situazione, il Consiglio Regionale del Piemonte, nell’aprile del 2016, ha approvato all’unanimità la Legge Regionale “Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico” (n. 9/2016).
A distanza di tre anni dall’entrata in vigore, grazie a uno studio scientifico portato avanti da IRES Piemonte, abbiamo dei dati che certificano l’efficacia della legge.
In Piemonte il gioco d’azzardo è calato del 9,7% (a fronte di un aumento del 1,6% nel resto d’Italia è cresciuto), le perdite dei cittadini sono diminuite del 17,8% e i due terzi delle somme non giocate nel 2018, non sono state reinvestite in altri giochi.
Il gioco non è scomparso come più volte hanno denunciato in maniera infondata gestori degli apparecchi da gioco, ma ha solamente ricevuto un piccolo argine. Anche perché la legge non vieta il gioco d’azzardo, ma semplicemente lo limita allontanandolo dai “luoghi della vita” e rendendo meno pervasiva l’offerta.
Ora Lega e Forza Italia vogliono smantellare la legge riportando le lancette dell’orologio indietro di quattro anni e cancellando ogni argine all’eccesso di offerta di gioco per compiacere le opache lobbies del gioco, che peraltro hanno spesso sede in altri Paesi.
La limitazione delle sale gioco implica in qualche misura la perdita di posti di lavoro, ma, da un lato questa perdita non è ancora stata quantificata in modo oggettivo e dall’altro non si può sacrificare il diritto alla salute in nome della creazione di lavoro in settori discutibili.
Infine, non va dimenticato che il GAP implica dei grossi costi sanitari per la collettività, dal momento che chi soffre di questa dipendenza deve essere curato e disintossicato, quindi la questione non può essere considerata solo appannaggio del commercio escludendo completamente la sanità.
Ittica: in merito alla Sanità vorremmo chiederLe un’ opinione sulla gestione della pandemia nelle Rsa. Mons. Marco Brunetti, presidente della Consulta Pastorale della Salute dei Vescovi Piemontesi, ha raccolto il grido d’aiuto di numerose strutture scrivendo una lettera al Governatore Cirio e all’Assessore Icardi Come valuta dal Suo punto di vista, alla luce degli argomenti portati dalla Consulta, la situazione degli anziani, altra fragilità evidenziata dal Covid19, anche se molto si dovrebbe delle figure OSS e degli infermieri?
Canalis: le RSA sono nuovamente la prima linea del contagio. Nelle Rsa si concentrano le persone più fragili del Piemonte. Si tratta infatti di 40.000 persone anziane, spesso non autosufficienti e con molte patologie. Dopo l’impatto drammatico della prima ondata dell’epidemia, che in Piemonte ha fatto quasi metà dei morti proprio nelle Rsa, ci saremmo aspettati una maggior attenzione da parte della Regione. Invece le Rsa, a parte la maggior disponibilità di DPI e tamponi rapidi, l’accesso diretto alla piattaforma informatica Covid ed il monitoraggio – più contabile che operativo – dell’Osservatorio provinciale dedicato, sono più o meno nella stessa situazione di marzo, con l’aggravante che adesso molti dipendenti se ne sono andati per aderire all’arruolamento delle ASL e le strutture rischiano il collasso finanziario perchè molti posti sono vuoti a causa della mancata attivazione di nuovi ingressi in convenzione. Le Rsa necessitano di un intervento di riforma, ma devono innanzitutto poter sopravvivere finanziariamente a questa crisi, altrimenti le liste d’attesa diventeranno ancora più drammatiche.
I posti letto accreditati nelle Rsa piemontesi sono 29.595, di cui 14.000 in convenzione: le nuove convenzioni devono essere attivate urgentemente. L’assistenza alle persone non autosufficienti è un tema prioritario in una Regione con un quarto della popolazione sopra i 65 anni. Se si bloccano gli inserimenti in RSA e nel contempo non partono nuovi progetti di assistenza domiciliare, essendo il Piano Regionale per la Non Autosufficienza ancora fermo, le famiglie rischiano di scoppiare. Va poi considerato che molte RSA non hanno gli spazi per isolare i positivi e che solo una piccola percentuale degli ospiti ha già ricevuto il vaccino anti influenzale.
Sono problemi seri su cui la Regione dovrebbe prendere misure urgenti visto che queste strutture sono accreditate, cioè concessionarie di pubblico servizio.
Ittica: ci risulta che le richieste di aiuto alla Caritas da parte delle famiglie torinesi soprattutto, ma anche piemontesi, siano aumentate esponenzialmente in questi mesi: può fornirci qualche dato sui danni alle fragilità economiche della nostra regione a causa della pandemia e se per loro sia prevista qualche forma di assistenza da parte delle istituzioni?
Canalis: qualche settimana fa il responsabile della Caritas della Diocesi di Torino, Pierluigi Dovis denunciava che a Torino da inizio pandemia il numero di accessi alle mense per i poveri era cresciuto dell’80%. Un numero impressionante, soprattutto se pensiamo che in molti casi si tratta di “nuovi poveri”, caduti in questa condizione perché impegnati nel lavoro sommerso e quindi non beneficiari di sussidi legati al Covid o perché già vicini alla mera sussistenza prima dello scoppio della pandemia. Fino a fine maggio lo Stato aveva destinati all’emergenza alimentare 400 milioni su scala nazionale, di cui 4,6 milioni per Torino. La Regione non ha integrato questa quota, neanche nell’ambito dei 131 milioni di euro del Bonus Piemonte. Oltre a questi aiuti vanno considerati quelli del Programma Europeo di Aiuto Alimentare ai Bisognosi (PEAD) che vanno a finire direttamente al Banco alimentare.