Però dai, Renzi che va a collezionare figure a nastro dalla Gruber è tragicamente divertente.
Allora, c’è questo leader politico di fine impero che comanda un partito che non esiste, se non per la quarantina di seggi di cui ancora dispone in Parlamento.
Inchieste giudiziarie e rivelazioni giornalistiche stanno mostrando da un po’ di tempo il volto (mal) dissimulato del renzismo. Contemporaneamente è in atto un dibattito a sinistra (e te pareva! ) su come sia stata possibile la nascita, la presa di potere e l’egemonizzazione all’interno di un partito, il PD, di quella che oggi si vuole far passare come una corte dei miracoli, ma che, a dirla tutta, è stata qualcosa di più. In effetti chi si sforza di diffondere cultura politica su questo blog non può fare a meno di ricordare le adunate di ex comunisti riuniti alla Leopolda per acclamare il “rottamatore” e il suo riformismo progressista liberale.
Può darsi che Renzi sia, o sia stato, lo strumento consapevole di una strategia più generale volta a sopire qualunque tentativo di andare oltre la visione neoliberista dominante e la strenua difesa del privilegio di natura economica, ormai così radicato nell’élite politica del PD da giungere a dissimularlo con le battaglie sui diritti civili (e riuscendo pure a perderle, come è stato per il Ddl Zan!).
Non sarà allora verosimile che il PD di oggi, architrave del “governo dei Migliori”, abbia preso il posto di Renzi, un po’ come lo shogun che smette di servirsi del lavoro sporco del ronin, semplicemente perché quest’ultimo ha esaurito il suo compito?
Guarda caso sul Manifesto di oggi Tommaso Nencioni* fa un’interessante disamina del rapporto tra il renzismo e il ruolo del PD nel sistema politico italiano. Noi di AMA, Associazione Mare Aperto, ve la proponiamo su ittica.org, lasciando a Scanzi il lavoro di manovalanza perculatoria che diverte ma non approfondisce.
“(…) Circolano due ipotesi in proposito (un po’ sulla falsariga del dibattito sul rapporto tra il fascismo e la storia d’Italia, se non fosse blasfemo il paragone tra una delle vette più alte del dibattito politico-culturale italiano e una vicenda delle più misere):
– la continuità: il renzismo è frutto naturale delle scelte operate dal gruppo dirigente post-comunista dalla Bolognina in poi. Di che meravigliarsi?
– l’invasione degli icsos: una banda di furfanti si è impossessata, con ingenti e interessati aiuti esterni (gruppi editoriali e finanziari ecc.) di una struttura altrimenti sana e virtuosa.
Pur riconoscendo elementi di validità in entrambe le letture (in particolar modo nella prima) vorrei provare ad avanzare una terza ipotesi, di carattere funzionalista. Le due ipotesi precedenti partono entrambe dal presupposto che il PD sia sempre un partito, cioè che rappresenti parti di società civile ed interessi materiali e/o ideali vis-à-vis lo Stato. La prima parte dal presupposto che ormai il PD rappresenti “i padroni” e quindi, lo guidi chi lo guidi, ormai è perso alla “vera” sinistra. La seconda parte dal presupposto che il PD sia un partito di sinistra, espressione quindi delle classi popolari, temporaneamente traviato dal renzismo.
Ecco, io penso invece che il PD non sia un partito, cioè un’organizzazione della società civile autonoma dallo Stato, ma un apparato dello Stato. Un’organizzazione che non può vivere senza un rapporto di tipo parassitario con lo Stato (i parassiti non sfruttano soltanto, ma forniscono anche servizi al corpo che li ospita; in questo caso: personale politico addestrato “credibile” nel garantire i numerosi vincoli interni ed esterni della repubblica). Quindi, siccome un partito per entrare in un rapporto di tipo parassitario con lo Stato deve “vincere”, il problema è di trovare una leadership adatta a quello scopo. In quel periodo, sondaggi alla mano, chi faceva vincere il PD, cioè chi forniva la garanzia del perpetrarsi del rapporto parassitario con lo Stato, era Renzi. Domani potrà venire un gruppo dirigente migliore o peggiore di quello renziano, purché garantisca questo rapporto. Del resto i quadri intermedi (non a caso tutti amministratori pubblici, gente cioè che punta alla rielezione come fine dell’azione politica) non furono renziani prima di Renzi, divennero renziani e ora non lo sono più (almeno fino al prossimo sondaggio favorevole al rignanese). In questo, come sostiene il Bartolini, il PD è l’erede della DC.
Con una differenza, che fa rientrare dalla finestra l’ipotesi detta sopra della “continuità”, ma in via subordinata: siccome lo Stato italiano della prima repubblica era uno Stato che godeva di una relativa autonomia dalle classi dominanti, quella stessa relativa autonomia passava per osmosi anche al Partito che con lo Stato viveva il rapporto parassitario. Lo Stato della seconda repubblica è una struttura invece totalmente preda degli appetiti delle classi dominanti, per cui anche il Partito-parassita finisce per acquisire quella caratteristica di subordinazione tipica del corpo che lo ospita”.
*Tommaso Nencioni ha Conseguito un Master nel Dottorato in Storia sociale politica e culturale presso l’Università Autonoma di Barcellona, è diventato Dottore di Ricerca presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, per cui ha portato avanti le ricerche per la stesura di una biografia politica di Riccardo Lombardi. Si è occupato di storia dei partiti comunisti e socialisti, pubblicando vari saggi su “Italia Contemporanea” sul Psi e sul PCE. Ha curato, con G. Pala, il volume El inicio del fin del mito soviético. Los comunistas occidentales ante la Primavera de Praga (El Viejo Topo, Barcelona, 2009).
Biografia e Image Credit “Aracne Editrice”
Immagine in evidenza “Il Fatto Quotidiano”