La XXVI sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è solo uno dei passi nel lungo percorso di un negoziato multilaterale.
Nasce nel 1992 con l’approvazione della UNFCCC e ha avuto nella COP3 di Kyoto nel 1997 e nella COP21 di Parigi del 2015 i momenti diventati più importanti, con l’approvazione di due atti implementativi della Convenzione (Protocollo di Kyoto e Accordo di Parigi). In tutte le altre COP sono sempre state prese decine di decisioni, alcune fondamentali per preparare i successivi accordi e il loro funzionamento. Molte decisioni non sono state prese o sono state rinviate, per il disaccordo fra le Parti; ma anche nelle COP più tecniche e meno di interesse per i mezzi di informazione sono stati posati piccoli mattoni che reggono la struttura del negoziato. Pensiamo ai “mandati” di Berlino1996, ai “piani d’azione” di Bali 2007 o alla “piattaforma” di Durban 2011.
Spesso il motivo per cui si sente annunciare il fallimento della COP26 è che le ipotesi di successo si fondano su scenari fuori dalla realtà: sembrerebbe che nei 13 giorni del negoziato potrebbero essere prese decisioni in grado di risolvere la crisi climatica, permettendo di mantenere le temperature globali al di sotto di 1,5°C; e se queste decisioni, che nessuno prova neppure a descrivere negli aspetti concreti, non arrivassero, la COP sarebbe fallita.
Pur se il negoziato non può per sua natura averi effetti concreti diretti, ossia non è un organo deliberativo che può imporre delle azioni ai singoli Stati, li ha sicuramente in termini indiretti, perché è nel quadro del “rulebook” dell’Accordo di Parigi che sono definiti gli impegni dei singoli Stati, tramite gli NDC, i Contributi Determinati a livello Nazionale. Ad esempio, l’aggiornamento dell’NDC europeo inviato nel 2020, che ha rivisto al rialzo l’impegno europeo alla riduzione dei gas serra (dal -40/% al -55% nel 2030 rispetto al 1990), ha poi conseguenze sulle politiche europee (si veda il recente pacchetto legislativo “Fit for 55”) e quindi sulle legislazioni degli Stati membri.
Per questi motivi non è corretto parlare in toto di fallimento, ma è importante distinguere dove si è fatto un passo avanti e dove i negoziati devo ancora lavorare. Per questi motivi abbiamo deciso di pubblicare diverse analisi di quello che è accaduto a Glasgow per dare conto della complessità dei temi e della varietà dei punti di vista.
Di seguito trovate il contributo di Giorgio Brizio, pubblicato da Repubblica per la rubrica dedicata alla Cop26 di Glasgow. Giorgio Brizio, 19 anni, è attivista dei Fridays for future. Ha scritto “Non siamo tutti sulla stessa barca” (Slow Food Editore).