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Camicia nera? No fratello.

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Nell’immaginario collettivo fascismo e comunismo occupano due posizioni opposte e inconciliabili. Tuttavia a volte la storia sorprende i luoghi comuni con la forza dei documenti.

Palmiro Togliatti, come già Antonio Gramsci nel 1926, aveva intuito che il fascismo non era unicamente riconducibile ad una reazione di natura capitalistica. La cosiddetta “rivoluzione delle camicie nere” era legittimata (e finanziata) non solo da industriali e latifondisti, ma aveva una base sociale tutta sua, proletaria e piccolo borghese, che metteva in discussione le fondamenta stesse dell’ordine sociale ed economico, rivendicando il ruolo dello Stato tramite il sistema corporativo.

Per quanto ondivago, inconcludente e sbilanciato verso il padronato, il regime fascista pareva avere un approccio di tipo sociale. In realtà le politiche sociali fasciste erano quasi esclusivamente finalizzate alla propaganda e a garantire consenso al regime da parte di vari segmenti della società, in base alle necessità del momento. Tuttavia era proprio a questo equivoco che si richiamava l’antifascismo militante, o quel che ne rimaneva a metà degli anni Trenta del secolo scorso, quando fu siglato un documento programmatico da oltre sessanta dirigenti del PCdI, tra cui proprio Togliatti, che si rifaceva addirittura al noto programma dei Fasci di Combattimento. Tale documento, che non è proprio da annoverare tra i punti più alti della sinistra italiana di stampo marxista (scusate la generalizzazione, ma si cerca solo di semplificare un po’), va sotto il nome di “appello ai fratelli in camicia nera”. 

Le riflessioni che seguono vogliono essere il frutto di qualche libro di storia letto e niente di più. Forse leggere di cose successe aiuta a capire meglio il presente. O forse no.

Paventare il ritorno dei fasci cattivoni è più che legittimo, ma bisognerebbe farlo non andando a frignare da papà Draghi sulla necessità di leggi peraltro già in vigore, ma con la forza di progetti che sono tali solo quando si indicano tempi, modi e risorse per realizzarli. Se manca anche solo uno di questi elementi allora siamo alle chiacchiere, alla semplificazione populista bipartisan, alle promesse vuote della sinistra di governo e alla conseguente insostenibile leggerezza ideologica da autoreferenzialità che aspira a farsi pensiero per periferie e “poracci”, ma che trova solo disinteresse o vera e propria insofferenza.

Siamo alle solite e vado mestamente a ripetere un mantra : appiattirsi sulla logica del fermare le destre e del presunto meno peggio significa in realtà continuare a mantenere lo status quo. Se vincerà la destra, e non solo a Torino, ci sarà da lottare . Se vincerà una certa idea di sinistra, pure.

A forza di “voto utile a fermare la destra”, ovunque si guardi c’è la destra. Vien da domandarsi se ci sia vita oltre la cornice.

Andando a vedere quel che è successo ieri a Roma, sembrerebbe di sì. Solo che la vita è melma che risale dai tombini. E la cornice di un bel nero.

Quel che viene spontaneo evidenziare, da cittadini mediamente pensanti, è che vedere squadracce che assaltano la sede del principale sindacato dei lavoratori non è in alcun modo accettabile. Anche solo il dubbio che vi sia complicità nelle istituzioni verso questi atti criminali è semplicemente agghiacciante.

E il lockdown era fascista, e i vaccini sono fascisti, e il greenpass è pure fascista. Ormai è diventato tutto fascista tranne l’ andare a devastare a colpi di spranga quello che, piaccia o no, è un simbolo della storia delle rivendicazioni di questo Paese.

È ora di stabilire confini da non superare. Altroché “fratelli”!

Eiaeia, boiachimolla, mahafattoanchecosebuone e tutto il resto.

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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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