Essere a disagio con il mio tempo è ormai divenuta una condizione esistenziale. Per tanti invece no.
Evita Melon e il commissario Basettoni dell’immagine di copertina sono solo due tra i tanti prodotti della devastazione culturale con la quale il capitale ha agito scientemente, a partire dai primi anni ’80, per generare masse di fallocefali che sbavano per i propri carnefici.
Il capitalismo, lungi dall’aver dato vita ad una società di mercato globale ordinata e razionale, sta viepiù favorendo massicce concentrazioni di ricchezza per un frammento della popolazione, ormai al di sopra di ogni legge, mentre tutti gli altri vivono una contrazione delle proprie opportunità attraverso periodi sempre più lunghi di crisi.
Il ceto medio sta diventando proletariato e il proletariato ha definitivamente imboccato la via dell’indigenza. In buona sostanza il mercato che si autoregola è un esercizio di stile utile all’elegia neoliberista, ma quel che sta accadendo nella vita della maggioranza delle persone è che la ricerca ossessiva del profitto, in una società che sta spremendo all’inverosimile diritti e risorse, si accompagna sempre più spesso a due fenomeni: elusione delle tassazioni per i più ricchi ed erosione degli standard etici.
Come ho scritto un paio di giorni fa qua sopra, l’urlo come essenza di sé è la caratteristica fondamentale dell’artista post fascista contemporanea Giorgia Meloni. Il suo imperativo concettuale è quello di alzare costantemente il tono fino a quando il nero che sta sullo sfondo diventa il protagonista della tela.
Credo sia stato Jackson Pollock a dire che non fa molta differenza su come la pittura viene applicata fintanto che qualcosa viene detto, perché la tecnica è solo un mezzo per arrivare a una dichiarazione.
È solo che qua con la tecnica non andiamo oltre la caricatura e con le dichiarazioni siamo al foglio bianco. Pardon, nero.
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