“L’associazione 6000 Sardine ha deciso di non entrare nella costituente del PD e di non sostenere alcun candidato”
A ripensarci l’unica logica che ha sempre accomunato le scelte strategiche di 6000 Sardine è sempre stata l’autodistruzione.
Pare incredibile ma passo dopo passo, mascherando per bene il loro vero obiettivo, sono riusciti ad arrivare lì. Un’autodistruzione senza il botto finale, bensì usando modi più subdoli come le potature, cambi di strada errati, spine staccate, il soffocamento…
In questa lenta disfatta ci sta una logica che andrebbe studiata da sociologi e psicologi. Perché resta un fenomeno sociale che ha segnato il nostro tempo sia nella buona che nella cattiva sorte. Un meccanismo che ha ereditato spontaneamente modi di fare e tensioni dai fermenti associativi di natura politica. Ha messo in evidenza il lato positivo della potenza espressiva della generazione Z e gli aspetti negativi della generazione X. Una tempesta perfetta che non è giunta a nulla. Così pare.
Ma cosa possiamo salvare da questa esperienza?
Verrebbe la voglia di sforzarci e ragionare su cosa abbiamo perso con l’estinzione delle 6000 Sardine: tralasciando la sana ed effimera euforia iniziale una cosa già ampiamente detta e ripetuta è l’aver fatto scendere in piazza persone che non erano più attratte da nulla.
I disillusi si sono alzati e hanno voluto esserci. Poi i gruppi di studio, gli approfondimenti, la consapevolezza di non essere sempre pronti e preparati per dire la nostra su tutta quella complessità che è la gestione della società, immersa e radicata nei tanti aspetti che la contraddistinguono: welfare, economia, ambiente, europa, rapporti internazionali, la costituzione, le tensioni geopolitiche internazionali, il nostro futuro.
Già per qualche mese abbiamo creduto di poter finalmente contare qualcosa nel cambiare in meglio il nostro futuro. Ma sempre con la consapevolezza di quanto fosse complicato imparare a gestirlo. Può essere che lentamente siano iniziati a nascere dubbi sul fatto che ce l’avremmo potuta fare a stare al passo con quel ritmo di partecipazione. Ci sono state settimane in cui io contavo più ore dedicate alle Sardine che al mio lavoro. Che a ripensarci mi spaventa.
Ma il buono di tutto questo è stato che abbiamo capito quanto potenziale c’era tra di noi. Quanta volontà avevamo di voler provare a metterci in gioco.
Io ho capito che se vuoi far bene una cosa la devi affrontare con serietà, con competenza e dedicandoci i tempi giusti. Inoltre da soli non si arriva da nessuna parte. Il lavoro di squadra è importante come è importante saper stare in una squadra: primo conoscere i propri limiti e i propri difetti per non frenare il resto del gruppo. Queste ad altre cose si sono imparate in questi tre anni. Tutto sommato una bella esperienza che ci ha aiutato a capire anche noi stessi.
Non butto via tutto quindi dall’esperienza delle 6000 Sardine, anzi.
Resta solo il rimorso che se ce la fossimo giocata diversamente avremmo potuto sfruttare meglio una opportunità che raramente ricapita nella vita di una persona.
Perché la seconda volta non vogliamo più farci fregare.