Dice che i contenuti e i valori del Manifesto di Ventotene non sono i suoi. Masticazzi Giorgia, l’avevamo capito da un pezzo!
Acclarato che i confinati sull’isola galera furono messi lì dal fascismo, quello che sconcerta è l’attenzione mediatica per le cazzate e il silenzio che invece cala sulle cose importanti. Adesso siamo tutti qua a stracciarci le vesti sul Manifesto di Ventotene che, perdonatemi, giusto o sbagliato che fosse, non ha e non ha mai avuto nessun effetto concreto nella vita della maggior parte di noi. Tuttavia non si parlerà d’altro fino alla prossima intemerata meloniana buttata lì ad arte per dissimulare la totale imperizia del governo su ogni tema e il corrispondente velleitarismo tardo ideologico dell’opposizione.
Meloni può forse mandare avanti con successo la sezione dei Fasci di Combattimento di via Paolo da Cannobbio, ma di sicuro non è all’altezza di gestire la situazione che è andata delineandosi da quando governa. La Presidente appare sempre più accartocciata su sé stessa e, le rare volte in cui fa capolino in Parlamento, prende un granchio dietro l’altro gigioneggiando tra frizzi, lazzi e gesti istrionici senza alcuna capacità di prendere posizioni nette e chiare.
Che Meloni stia al termine statista come Jeffrey Dahmer sta al veganesimo è chiaro anche alle pietre. Tuttavia l’underdog che volle farsi regina è abbastanza scaltra da rendersi conto di essere capitata, dopo 80 anni di attesa spasmodica, nel posto giusto al momento sbagliato. E allora la butta in caciara.
Tornando alla polemica su Ventotene, a me pare che sia l’ennesima dimostrazione della totale dissociazione della politica dalla realtà: l’UE, così come la conosciamo oggi, non ha nulla a che fare con le aspirazioni di Spinelli, Rossi e Colorni. La verità è che né Meloni né l’opposizione che si indigna abbestia sanno cosa dire al Paese in merito alle questioni interne, figurarsi sull’Europa. Per poter sopravvivere questa classe politica deve descrivere l’UE per quello che non è: la Premier per solleticare la retorica anticomunista di binari e fallocefali sempre in cerca di nemici che non siano gli immigrati, l’opposizione per giustificare l’europeismo che passa attraverso le commesse di Rheinmetall e i profitti di BlackRock.
In fondo lo schema è sempre il solito: falsificare la realtà, sia che si tratti di ripetere ossessivamente che i resort albanesi «Funzioneranno!» sia che si analizzino i fenomeni storici o del presente con la lente distorta di Vecchioni e, più in generale, del risibile neo suprematismo europeo (ma più che altro crucco) e della sua falsa coscienza.
Ieri è stata una giornata memorabile per la politica italiana, una giornata che potremmo definire come pienamente rappresentativa del teatrino in cui i cittadini si dividono in inutili tifoserie social mentre, dietro le quinte, avvengono le cose importanti.
In una giornata in cui in Parlamento si sarebbe dovuto dibattere del piano ReArm Europe, facendo finalmente il punto sugli effetti disastrosi che il medesimo avrà sulle capacità dello Stato di mantenere l’attuale e già basso livello di spesa pubblica per la sanità, la scuola e la sostenibilità ambientale, è stato messo in piedi lo spettacolino dello scontro ideologico tra governo e opposizioni liberal-progressiste.
Non voglio passare per il solito malmostoso guastafeste, disfattista e gombloddista, ma mi viene difficile pensare che un cast di attori consumati come quelli che ci ritroviamo a votare con l’attuale legge elettorale non abbia trovato, prima di andare in scena, un accordo di massima sull’osso da gettare nell’arena del dibattito parlamentare. Se così è andata, Meloni e il suo governicchio sfilacciato hanno spostato l’attenzione da un tema molto scomodo, il riarmo sulla pelle degli italiani, e il PD ha potuto fare l’ennesima polemica ideologica con cui campa di rendita da anni senza porre alcun rimedio fattuale alla crescita della forbice tra chi ha sempre di più e chi è aggredito dallo spettro della povertà.
A ben guardare questo caravanserraglio, la sinistra non perde perché la ggente si butta a destra. Perde perché ha smesso di essere credibile. Perché si mette una coccarda o una pashmina della Pace mentre confonde la lotta di classe con il leasing della Tesla.
La sinistra non perde perché i fasci escono dai tombini dopo che il Priapo di Hardcore li ha sdoganati senza che quelli che oggi si incazzano per le nefandezze storiche pronunciate in aula da Meloni facessero un plissé. Perde perché la proletarizzazione della working class non è cosa che la riguarda. Infatti dalla metà degli anni ’80 ha scambiato la lotta contro le disuguaglianze con una serie di battaglie di facciata, più attente alla forma che alla sostanza.
In ultimo la sinistra perde perché ha trasformato le contraddizioni del modello neoliberale in un hashtag e la politica in una ribalta parolaia funzionale al mantenimento dello scranno.
E allora il problema non è la falsità/ignoranza storica conclamata di Meloni. Il problema è una classe politica che nel suo insieme spazia dal volgare al saputello, a seconda del registro narrativo e della sponda di appartenenza, ma che è sempre e comunque autoreferenziale e arroccata a difesa del privilegio.
E adesso un bel litigio a beneficio dei lettori di Repubblica e del Giornale. Si vis pacem et pecuniam tuam, divide, impera et para bellum.
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