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Questa crisi non è incomprensibile

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Oh bene, cosa chiederà oggi Matteo Renzi? I Ministeri di Giustizia e Lavoro, la delega ai Servizi, la testa di Arcuri sul piatto,  la bicamerale sul Recovery Fund? E il premierato no?
Siamo alle solite: questa crisi di governo, l’ennesima e nel momento peggiore, ricorda tanto certi momenti di stallo della Prima Repubblica, ma con l’handicap ulteriore dell’aver messo in evidenza l’indebolimento strutturale del ruolo dei partiti prima ancora delle convenienze contingenti del partitino di turno.
La Terza Repubblica, come scrive il sociologo Cristopher Cepernich su lincontro.news, «è diversa dalla Prima per il contesto che la determina, ma analoga nelle dinamiche politiche che produce: quelle tipiche del consociativismo. Ora però ci ritroviamo una democrazia consociativa senza partiti solidi, né sul piano culturale, né organizzativo, che ad altro non può ridursi se non ad una guerra fra bande». All’interno di tale scenario si inserisce un parlamento ridotto di un terzo nei numeri e sostenuto da una legge elettorale di fatto proporzionale.
Purtroppo nell’attuale quadro politico, continua Cepernich , «il frazionismo tipico del proporzionale non è una risorsa che pluralizza la rappresentanza, che anzi mai è apparsa tanto chimerica, ma piuttosto un fattore strutturale di potenziamento dei particolarismi che la indeboliscono». L’attuale sistema democratico, fatto sempre più di NONpartiti, alcuni dei quali senza neanche una struttura territoriale, valorizza i particolarismi senza mai arrivare a una sintesi che contempli una visione prospettica d’insieme. Oggi è il “contratto di governo”, domani il Mes, dopodomani le concessioni a Renzi per evitare le elezioni che sancirebbero il ritorno di Salvini&Meloni e l’immediato declassamento dell’Italia (bye bye Recovery). Poi, se avanza tempo, resta sempre lo scontro più o meno sotterraneo sul prossimo occupante del Quirinale.
L’impressione da fuori, perché non siamo costituzionalisti, sociologi e tantomeno iscritti ad un partito, è che il proporzionale in Italia abbia prodotto più danni che altro e che non sia neppure attraverso la riduzione dei parlamentari che ci si avvierà su un percorso virtuoso. Piuttosto è la crescita esponenziale di persone e soggetti connessi attraverso il Web che sta portando sconvolgimenti nell’organizzazione politica. La trasformazione digitale della partecipazione fa sì che nuove figure occupino spazi e luoghi non fisici senza portarsi appresso l’ingombrante fardello dell’ideologia e dei ruoli: una nuova frontiera del Web vista come volano di riscatto e progresso, anche solo su singoli temi, sta spostando l’aggregazione (ancor più in tempi di pandemia) da segreterie e circoli alle piattaforme.
Alla fine, a voler cercare di capire, questa crisi ci dice che i partiti, così come li conosciamo, molto probabilmente hanno esaurito la spinta propulsiva e il senso dato loro dall’articolo 49 della Costituzione che, è bene ricordarlo, non garantisce quale debba essere il principio elettorale. Da quando l’economia prima e la finanza speculativa poi hanno preso il sopravvento sulla politica, i partiti, da sinistra a destra e salvo poche eccezioni, si sono allineati in trincea senza uscire troppo allo scoperto per proporre interpretazioni del paradigma in senso correttivo su disuguaglianze sociali ed economiche. Ora, dopo la comparsa di Movimenti e “rottamatori” che di fatto denigrano la dialettica politica così come la conosciamo, puntando al suo sostanziale dissolvimento in favore di forme referendarie con una forte componente di leadership, siamo forse arrivati ad un punto di non ritorno. In questa “atomizzazione” di interessi e di conseguenti risposte senza una visione d’insieme c’è «il riflesso di una più ampia e profonda crisi del sistema partitico che oggi ha questi protagonisti, che domani ne avrà degli altri, ma sempre con lo stesso copione». Quello che ha determinato l’esplosione del populismo, frenando il cammino verso una socialdemocrazia europea, è stata l’identificazione delle élite politiche progressiste in potenza con quelle manageriali e professionali, vale a dire quella porzione di classe media che si è arricchita negli ultimi decenni e che se ne frega altamente del resto della classe media, di quel che rimane della classe operaia e dei nuovi povery.
Purtroppo quel che è successo in Italia da quando gli eredi del PCI hanno incominciato ad odiare l’ascensore sociale fino a sprangarne le porte e sabotarne la pulsantiera, è che come diceva un tale che credo si chiamasse Aristotele “gli inferiori si ribellano per essere uguali e gli uguali per essere superiori”. E così porzioni di elettorato sempre più consistenti, prive di rappresentanza politica oltre che di speranza di riscatto sociale, sono state intercettate dai partiti populisti vecchi e nuovi.
Dal mio angolino di appassionato lettore di fenomeni e dinamiche, ma assoluto dilettante della politica e delle sue pratiche, io non so se la soluzione passi attraverso il rimodellamento del sistema elettorale con l’introduzione del doppio turno, meglio se maggioritario, oppure attraverso la revisione dei regolamenti parlamentari o altro ancora: questo lo lascio dibattere a chi ne sa veramente. Lo sconcerto mio e di tanti di fronte a questo eterno presente che non risolve è piuttosto quello di chi, a prescindere dalle soluzioni calate dall’alto, continuerà a cercare di tirare avanti stando sempre un po’ più in basso, ben conscio di non essere tra quelli “bravi” e delegando volentieri attraverso il voto. Ma sempre con dignità.
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Esimio "signor nessuno", anarcoinsurrezionalista del tastierino, Scienze politiche all'Università, ottico optometrista per campare. Se proprio devo riconoscermi in qualcuno, scelgo De André. Ciclista da sempre, mi piacciono le strade in salita. Ci si vede in cima.
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