Spiegare l’astensionismo non è facile, soprattutto se non si è paludatissimi addetti ai lavori. Più difficile ancora è trovare un registro comunicativo che desti l’attenzione di persone pervase dal virus che ammazza la democrazia, il “cazzomene”. Nonostante il non elettore abbia la sua buona dose di responsabilità nel fare andare le cose accazzodicane, il problema non è tanto quello di alzare il culo dal divano per andare a votare il meno peggio, ma è proprio l’offerta politica.
Qualche anno fa la coppia Casaleggio-Grillo ha provato a intercettare il malcontento montante nella ggente attraverso il vaffanculo, ma anni di devastazione culturale operati dalle tv di Berlusconi, l’appiattimento ideologico dei giornaloni padronali uniti nel narrare le magnificenze del neoliberismo e, diciamolo, la pressoché totale inadeguatezza del personale politico espresso dai 5*, hanno impedito la riaccensione del motore della consapevolezza di sé e del conseguente rapportarsi agli altri attraverso la veicolazione del noto mantra di Mr. Spock secondo cui «le esigenze di molti contano più di quelle di Giggino Di Maio e Laura Castelli».
Per completezza di informazione andrebbe segnalata anche la breve parentesi delle Sardine, ma la totale insipienza politica di campeggiatori bolognesi, unicorni, mirtilli, fotografi del bello e imprenditori interessati a fatturare, mica a fare rete, definisce l’esperienza per quello che è stata, vale a dire una parentesi patinata targata borghesia dei quartieri belli.
In ogni caso, qualunque sia l’approccio all’analisi, bisogna partire da un presupposto scolpito nella pietra: l’establishment adora l’astensione.
Partiamo proprio da quella compagine farlocca che è il PD. La vittoria risicata alle amministrative in Emilia Romagna e in Umbria, lungi dall’essere un’inversione di tendenza che possa impensierire Meloni&co., nasconde il dato che piace tanto a chi ama le gioie del privilegio: al netto della solita fuffa sul fascio all’uscio, questo soggetto politico non riesce a portare ai seggi neppure i suoi elettori, ma vince perché a votarlo sono le clientele, gli amici, i parenti e le Rsa che da quelle parti si ostinano a chiamare circoli.
Per carità, paventare il ritorno dei fasci ad ogni scorreggia intellettiva del ministrocognato, di Valditara o di Giuli è più che legittimo come espediente elettorale da usare nelle ZTL, ma poi servirebbe la forza di progetti che sono tali solo se indicano tempi, modi e risorse per la loro realizzazione. Se manca uno solo di questi elementi, siamo alle chiacchiere patinate da apericena, alle promesse vuote uguali uguali a quelle della destra e all’autoreferenzialità parolaia che vorrebbe fare proselitismo nelle periferie, ma poi capita che i povery ti sgamino ricambiandoti con l’insofferenza.
Poi c’è Lvi, pardon Lei, l’ineffabile Giorgia. Solo ieri era in Argentina a fare la gatta morta con il re delle (moto)seghe anarcoliberiste Milei. A Bruxelles viene paparazzata a passeggio con von der Leyen (ho visto lei che bacia lui, che bacia lei… 🎶). Da vera campionessa di tuffi con avvitamento riesce a matchare l’autarchia con le ragioni delle élite belliciste e stragiste, da Rimbambiden a Netanyahu passando per Zelensky. A casa sua non si sogna neppure di mettere la mordacchia a ministri e sottosegretari palesemente inadeguati. In pratica Giorgia gira su sé stessa più di un derviscio rotante e persino più di Taz. Tuttavia al 30% del 50% degli italiani che ancora votano – che poi sarebbe il 15%, in pratica un italiano e un Brunetta su dieci – la serie tv “Le giravolte di Giorgia” sembra ancora piacere a due anni dalla messa in onda dell’episodio pilota, quello sui rave.
Poco importa se le accise sono rimaste, se i migranti vanno e poi tornano costando più di una crociera Carnival e se la reginetta del trampolino è già pronta ad appendere a Palazzo Chigi la gigantografia con il nuovo ammore Musk in sostituzione di quello che si ravanava il pacco su Rete4.
Come ricorda Travaglio nell’editoriale di oggi sul Fatto, «il nuovo bipolarismo Meloni-Schlein era puro avanspettacolo en travesti. “Giorgia contro Elly” e viceversa era una truffa agli elettori, perché le due presunte sfidanti, dopo aver condiviso il ritorno dell’Ue all’austerità col Pacco di Stabilità e votato tutte le risoluzioni belliciste della Commissione Von der Leyen-1, si sarebbero ritrovate a braccetto a votare per la Von der Leyen-2».
A proposito di fiction per gonzi, gli sceneggiatori certo non potevano risparmiare agli spettatori la pallosissima parentesi del duello fra (finto)progressisti e (finto)sovranisti, perché allungare il brodo serve a distrarre i tanti boccaloni dalla memoria più labile di quella della pesciolina Dory per andare nella direzione indicata dalla nomina di Fitto: l’establishment che si riproduce per partenogenesi.
Con buona pace degli elettori che a giugno sono andati alle urne per rafforzare da un lato le battaglie del grano e dall’altro per fare muro contro le maree nere, FdI e Pd delle gemelle dioscure voteranno insieme il von der Leyen2. E Tomasi di Lampedusa a mangiarsi “Il Gattopardo” come Rockerduck la bombetta.
W l’austerità e la guerra mondiale!
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