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“Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia” (cit.)

Che Facebook sia l’arcinoto nastro trasportatore della merda, il luogo in cui chi ne ha tanta nella testa può metterla a disposizione del flusso comune, è cosa ampiamente dimostrata in questi giorni dal florilegio di puttanate uscite dalle bocche di entrambe le tifoserie del nuovo episodio della WWIII a rate: l’escalation israelo palestinese.

Le perle delle due squadre sono tante, anche troppe, ma noi sul blog siamo, almeno per il momento, assolutamente liberi di farne una sinossi.

Ecco allora che da un lato troviamo i supporter della “nuova intifada”, concetto attorno al quale si raggruppano studentelli figlidipapà che sfilano in piazza con la kefiah stirata di fresco dalla filippina e i Dr. Martens decorati con i colori della Pace (a proposito di schizofrenia rossobruna); dall’altro lato della barricata spunta invece il pensiero “neorealista” del sindaco/pugile di Terni, tal Bandecchi, uno al cui confronto Vannacci sembra Gandhi, che vorrebbe Gaza spianata da Israele.

Non c’è niente da fare, chi non si schiera con il neocolonialismo feroce di Israele vince di diritto la medaglietta di “zeccarossaamicodeicentrisociali”, alla pari di chi, non inneggiando alla rivolta armata del popolo palestinese, viene prontamente bollato come sionista.

In realtà il giochino è un altro, ma ahimè, risulta essere sempre lo stesso: polarizzare l’opinione pubblica, dare fiato a binari e fallocefali funzionali a questo sistema sdraiato sulla semplificazione culturale, sugli schieramenti da questa derivanti allo scopo di far passare le voci critiche come estremismo, capovolgendo la narrazione. A questo “mood” si aggiunga il continuo esasperare i toni da parte di un’informazione pessima sotto ogni punto di vista e non sarà poi così difficile osservare come tutto ciò contribuisca a generare un’onda emotiva sufficientemente grande da poter tollerare la terribile rappresaglia dell’esercito isrealiano oggi e chissà cosa e dove domani.

La crisi della società occidentale si è trasformata da mero evento congiunturale in orizzonte permanente. I nodi sociali e politici, lungi dall’essere sciolti, diventano al contrario la cornice entro la quale si iscrive l’agire degli Stati.

Il sociologo ed economista contemporaneo Wolfgang Streeck, nell’introduzione al suo libro “Tempo guadagnato”, ha scritto: “Mi rifiuto di credere che le crisi debbano risolversi sempre positivamente”. Forse sarebbe il caso di ripensare almeno in parte il concetto dello studioso tedesco, rifiutandosi di credere che le crisi debbano risolversi, a prescindere dal loro esito eventuale.

L’impegno più gravoso di tutti noi nei confronti di questo eterno tempo presente non dovrebbe essere quello di tifare, ma quello di individuare e percorrere nuove strade che portino all’emancipazione dal saggio di profitto e alla pratica della democrazia tra i popoli.

Terzium non datur.

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