Il tribuno globalista
Nostalgici âgé del Sol dell’Avvenire, guardate bene lo spettacolo di Maurizio Landini in versione “tribuno globale”! Non fa venire anche a voi la voglia di piazza? Vederlo agitare il pugno chiuso contro le guerre lontane, schierare la CGIL attorno a Gaza e annunciare scioperi che accarezzano l’idea dei diritti universali non vi porta a pensare che il carrozzone arcobaleno e l’inesistente opposizione di Schlein al governo di #donnamadrecristiana abbiano i giorni contati?
Diggiamolo, chi non vorrebbe vedere arrivare il “Saponetta” – soprannome ironico coniato da qualcuno per definire la scivolosità umana e professionale di Landini – davanti ai cancelli di Mirafiori su una Ritmo cabrio prima serie, color rosso compagno, per tuonare contro i biechi speculatori Elkann invece di assistere alla difesa dei lavoratori da un pittoresco palchetto di culi smutandati che si muovono sulle note di Y.M.C.A. dei Village People?
Ma ecco arrivare il cortocircuito che spegne subito gli ardori: quando si tratta dell’industria italiana, dell’occupazione e del futuro del lavoro in Italia, la mano non arriva a chiudersi. Ed è qui che nasce il dubbio ferale: perché il maggior sindacato italiano può muoversi per una mobilitazione etica – e sacrosanta – ma esita quando il teatro è la fabbrica?
Partiamo dalla cessione di Iveco, il colpo silenzioso*
Nel luglio di quest’anno, l’operazione è divenuta ufficiale: Iveco Group (escluse le sue attività difensive) è stata ceduta al gruppo indiano Tata Motors per 3,8 miliardi di Euro. Contemporaneamente, il ramo Iveco Defence Vehicles (IDV), specializzato in mezzi militari e armamenti terrestri, è stato destinato in parte a Leonardo, in joint venture con i crucchi di Rheinmetall, per un corrispettivo stimato di 1,7 miliardi.
Il governo dei patrioti per procura, pur dichiarando che “monitorerà la vendita affinché siano garantiti posti di lavoro, know-how e stabilimenti in Italia” 😂, ha accettato a braghe calate l’ennesima transazione di mercato.
Dal canto suo, la FIOM ha parlato di “piano preordinato di smantellamento del patrimonio industriale nazionale”, lamentando il fatto che i sindacati siano stati “informati da indiscrezioni, non convocati in anticipo” sull’operazione.
Eppure, da parte della CGIL non c’è stata una risposta degna di un sindacato che afferma di “difendere la produzione nazionale”. Nessuna mobilitazione nazionale forte: come se la questione fosse astratta, lontana e non un attacco al cuore industriale del Piemonte prima e in subordine dell’Italia.
Ci sarebbero pure Magneti Marelli, la Fiat smantellata e il nodo Torino. Allora proviamo a dirne*
I casi “storici” della deindustrializzazione italiana non sono misteri: Fiat, Magneti Marelli e il ridimensionamento del settore automotive del Piemonte sono vicende note ai più.
1️⃣ Magneti Marelli, un tempo simbolo dell’eccellenza meccatronica italiana, è stata smembrata e ceduta a gruppi esteri.
2️⃣ Fiat/Torino: da quando Fassino andava sventolando garrulo in Consiglio comunale il fantasmagorico piano di risanamento di Marchionne, consistente in ben numero un foglio ciclostilato di banalità, gli stabilimenti torinesi hanno perso linee, capacità, centralità tecnologica, tutto e di più, fino ad arrivare all’iniezione letale del boia Stellantis.
3️⃣ Catene della subfornitura: a seguito della “cura” Marchionne e dell’abbandono della nave da parte degli Elkann, una sorta di chimera tra i simpatici animaletti che scappano per primi 🐀 e quelli che volano nel cielo neoliberista in attesa del pasto 🦅, decine di migliaia di posti di lavoro sono stati cancellati o contrattualizzati precariamente, sempre con scarso protagonismo sindacale nazionale.
In tutti questi casi, la CGIL e Landini non hanno mai innalzato una campagna sistemica di sciopero generale che mettesse al centro lo smantellamento industriale. Nonostante gli effetti sul territorio siano stati assolutamente devastanti, la scelta è stata spesso quella della contrattazione “locale”, di trattative sotto traccia, di pacchetti di ammortizzatori sociali con peggioramenti contrattuali a ricaduta anche su altri settori.
Giocare per vincere facile
Il risultato: la piazza schierata contro un conflitto lontano risulta vincente, il richiamo emozionale più di pancia (almeno qualcosa della comunicazione destrorsa si incomincia a recepire), l’appeal mediatico superiore e l’esposizione meno rischiosa rispetto al “sangue e merda” con cui dovremo fare i conti, se davvero vorremo cambiare il paradigma economico imperante, portandolo dalle parti della redistribuzione.
Dalle belle parole alle tasche vuote*
Il tema della doppia morale ci porta al punto più doloroso, quello dei contratti con retribuzioni minime ridicole.
È noto che 22 contratti nazionali firmati da CGIL, CISL e UIL prevedono paghe contrattuali inferiori a 9 €/ora lordi, quelli che pure il dipartimento economico della “destra sociale” non ritiene necessari per vivere una vita degna in questo scorcio di millennio.
In particolare, è emerso che il contratto della vigilanza privata prevede retribuzioni dell’ordine di 5 €/ora. Ci sarebbe anche il caso del noto senatore del PD torinese che tuona dagli scranni di Roma a favore del salario mimimo universale, ma poi paga i dipendenti della sua cooperativa 3,5 Euro l’ora, oltre a distrarre fondi (secondo le indagini della magistratura, mica il gossip dei giornalacci cairoti) per sé e per alcuni ex dipendenti assurti a posizioni apicali in Comune. Ma non divaghiamo.
Landini, interrogato su questi contratti, ha ammesso che la CGIL li ha “avallati”, salvo poi affermare che sono “incostituzionali” e che farà causa, come se la CGIL fosse contro sé stessa. Vabbè.
Insomma dai, chi firma contratti da 5 €/ora non può dichiararsi portatore di giustizia sociale. E lo scandalo non si limita ai vigilantes: se oltre un terzo dei contratti confederali ha retribuzioni minime così basse, è indubbio che il “sindacato centrale” è corresponsabile del peggioramento complessivo delle condizioni lavorative.
Così, se da un lato Landini invita alla rivolta sociale contro il governo e promette battaglie mediatiche, dall’altro, quando la questione è la manipolazione dell’economia reale, la risposta è assolutamente parziale, certamente tiepida o, in alcuni casi, addirittura inesistente.
Questa discrepanza si spiega solo se si accetta che il sindacato nazionale abbia scelto di giocare su due tavoli: quello visibile delle cause globali (pace, diritti civili, conflitti internazionali) e quello nascosto delle mediazioni industriali nazionali. Ma chi ha dato al sindacato un salvacondotto etico per mobilitarsi su Gaza, se poi lascia i lavoratori italiani sguarniti? Tuttavia la credibilità (e la voglia mal celata di dare una spallata all’inconcludente beniamina della comunità LGBTQIA+) non si compra con le piazze simboliche: si conquista con l’azione concreta nelle fabbriche, nei territori, nella lotta contro le delocalizzazioni per la tutela dell’industria che resta, ma soprattutto nel riaffermare la centralità dello Stato sui temi dell’Istruzione (cittadini consapevoli), dell’Economia (cittadini tutelati) e della Sanità (cittadini che invecchiano bene).
Garibaldi o dottor Gibaud?
In conclusione il Landini dei “due mondi” va alla grande con la piazza global, ma stenta con la piazza local. Invoca scioperi per una causa internazionale, ma diserta la lotta contro la guerra industriale dentro l’Italia. A cosa serve un sindacato che faccia bella figura quando mobilita milioni di persone sotto la bandiera della Palestina, se poi lascia i suoi iscritti con paghe da fame e l’economia interna senza prospettive?
Occorre forse, a sinistra, un momento di rottura che porti alla nascita di qualcosa di diverso. Un movimento sganciato dalle categorie tradizionali dell’appartenenza politica che riconosca il problema della pace e del lavoro, che mobiliti contro il genocida Netanyahu e il suo complice Trump, ma anche contro gli assassini dell’industria italiana e del lavoro in generale.
Noi, in concreto, cosa possiamo fare?
Intanto non diffidare della piazza in sé, ma di chi ne promuove la regia occulta. Mi spiace sempre un po’ pensarla come Marco Rizzo, un altro tribuno in cerca di un popolo, ma devo convenire con lui nel riconoscere che le motivazioni che hanno spinto alle recenti manifestazioni hanno poco a che vedere con la Palestina, ma molto con “il tentativo di costruire una nuova soggettività politica del globalismo progressista, tanto pronto al situazionismo politicamente corretto, quanto alla russofobia richiesta dal riarmo europeo”.
E allora aspettate a darvi “anema e core” a chi esibisce la maglietta della salute sotto la camicia aperta da proletario, perché è un attimo che valga quanto i filtri e i cappellini cazzari di Giorgia.
🌹🏴☠️
*Fonti: Il Manifesto, Il Sole24Ore, Il Fatto Quotidiano, Open, Il Foglio, L’Avvenire, Repubblica.