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L’Italia è ancora in piedi perché non sa da che parte cadere

Di come Donzelli, Delmastro e tutti i post fascisti gettino palate di sterco su ciò che resta della democrazia in Italia è cosa che dovrebbe far rabbrividire le istituzioni. Purtroppo le istituzioni sono loro e tanti come loro.

Quel che si è puntualmente verificato è che i Fratelli d’Italia (mai nome fu più azzeccato) si siano stretti a coorte a difesa e, sotto sotto, a totale ammirazione dei loro camerati. Nessuna smentita o presa di distanze è arrivata dalla Meloni o dal ministro della Giustizia.

Come può lo Stato non reagire di fronte alla grave e palese violazione del mandato istituzionale da parte di due parlamentari che ricoprono incarichi importanti e dai contenuti “delicati”?

In realtà il problema non è la Meloni che fa finta di niente, o la scena muta di Nordio, quanto domandarsi come Donzelli e Delmastro possano essere rispettivamente vicepresidente del Copasir e sottosegretario alla Giustizia. Ma ci arriviamo.

Chiedere le dimissioni dei due meloniani doc da parte delle opposizioni è doveroso, coordinarsi in un fronte comune una pia illusione, ottenerle fantascienza. Resta il fatto che La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla violazione di segreti e dati sensibili, ma scommetterei sin d’ora sull’archiviazione.

L’arresto di Messina Denaro, le polemiche su Cospito e la natura stessa del regime del 41bis lasciano trasparire sempre più chiaramente l’inadeguatezza di questo governo.

Chi, come il sottoscritto, ha abbastanza primavere da aver conosciuto e vissuto almeno la coda del periodo della strategia della tensione, non può non guardare con angoscia al crescere di un clima di paura nel Paese.

Come ben ricorda oggi Enrico Rossi, “la prima vittima della strategia della tensione è la questione sociale e i diritti sociali sono i temi concreti della vita quotidiana che riguardano i ceti popolari”.

In questi giorni di polemiche “a tutta stampa” sulla qualunque, un po’ in sordina, si sta invece esaminando la bozza del ddl sull’autonomia differenziata. L’accordo nel centrodestra è che la riforma vada di pari passo con il presidenzialismo, per arrivare a fine legislatura a un’Italia «federale e presidenziale», per dirla con le parole del solito Salvini.

Una nuova stagione di “devolution” sta per prendere il largo e le armi di distrazione di massa sono già spiegate per realizzare quel “divide et impera” che consentì ai Romani di governare a lungo, ma non di salvarsi da cose come lotte intestine e corruzione massima. Insomma il potere, alla fine, contiene in sé i germi della sua caduta. È il botto che ne segue a fare male a tutti!

Un Paese diviso in fazioni su ogni cosa, in cui non è garantito in egual misura a tutti il diritto alla salute e all’istruzione viola il dettato costituzionale. Ma credete che a Salvini, Donzelli e Delmastro possa interessare? O forse pensate che le opposizioni, prese dai reciproci distinguo in vista della Caporetto delle Regionali o dal surreale dibattito sulle regole, faranno le barricate in Parlamento?

Ricordo, a beneficio di chi a sinistra ha la memoria corta, che l’autonomia differenziata è un cavallo di battaglia del renziano Bonaccini, candidato con la vittoria in tasca alla segreteria del PD (non me ne voglia l’eroina della ZTL e dei fotografi del bello, la cosmopolita Elly Schlein), e che non molto tempo fa Letta, ospite ad Atreju, la manifestazione politica giovanile della destra italiana fortemente voluta da Giorgia Meloni, blaterava di possibili convergenze sul presidenzialismo.

Non so che idea vi siate fatti, sempre ammettendo che ve ne freghi qualcosa, ma dalla mia bolla cognitiva ritengo che sia proprio lo smantellamento dell’architrave della democrazia a cui si mira nel laboratorio del moderno totalitarismo che è divenuta l’Italia.

Ecco, ci siamo arrivati.

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