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La solitudine dei numeri primi

Non avere consapevolezza di dove ci si posiziona nella piramide sociale porta a non produrre quel passaggio da individuo a collettività indispensabile ad ogni rivendicazione minimamente strutturata. In altre parole, non rapportare la propria condizione ad una dimensione collettiva porta a non sapere o volere rivendicare nulla.

Nella geografia sociale rappresentata nei media (l’imprenditore, il disoccupato, la partita iva, il migrante, ecc.), quelli come me non hanno un nome e men che meno una rappresentanza. O forse sì: “ceto medio basso in odore di proletarizzazione”.

Siamo generalmente un settore a medio alta/alta competenza nelle proprie mansioni, generalmente in possesso di più titoli di studio o abilitazioni professionali, provenienti perlopiù da famiglie operaie o piccolo borghesi che in passato si sono sudate il raggiungimento di un relativo benessere economico e che ora attingono a quel “tesoretto” per l’università dei figli o per i periodi in cui la disoccupazione qualificata bussa alla porta. Altroché l’ossessione per il “fascio all’uscio” della sinistra gnegne!

Siamo tuttavia quella porzione di società che,  avendo ancora qualche briscola da calare in un futuro che promette solo crisi su crisi, possiede la più bassa autoconsapevolezza sociale tra tutti i cittadini. Settori con tassi di scolarizzazione decisamente inferiori e che che nella vita non fanno alcun tipo di analisi sociale, politica, culturale o economica hanno una consapevolezza di sé di gran lunga maggiore e, parimenti, una superiore capacità di mobilitazione e organizzazione della rappresentanza.

Il ceto a cui appartengo, pur prendendone ogni giorno le distanze con il mio sarcasmo nichilista, sembra infatti reagire solo su un piano estetico-morale allo spot della pesca, ai borborigmi del Girasagre e del suo vice, o al “frocio” pronunciato da Morgan, dando l’idea di non avere problemi reali/materiali, come invece accade per chi respira la povertà ad ogni fine mese o utenza. Questo ceto, ahimè, è anche il ceto intellettuale o sedicente tale di sinistra.

 In quella che è ormai divenuta una contrapposizione frontale tra politica e cultura, le nuove élite fanno breccia nelle pulsioni basiche della ggente (mamma, pappa, cacca, gnagna, dux), raccogliendo voti e vincendo regolari elezioni. Gli altri, quelli bravi e competenti, fanno sfoggio di retorica e di consecutio usate bene, ma non vanno oltre il senso di fastidio da ZTL  e l’autoreferenzialità conclamata.

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