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La pesca: una storia italiana

Minchia! Dopo la famiglia del Mulino Bianco e la tipa della Barilla col gatto bagnato, ci tocca pure sucarci lo spot tipo vecchia DC che fa il referendum subliminale contro il divorzio.

Mentre la sinistra gnegne si indinnia per il corto dell’Esselunga, inventandosi presunte discriminazioni di stampo ideologgico sui genitori separati, #iosonogiorgia li mette tutti all’angolo con una dichiarazione da core de  mamma italica: “bello e toccante”.

Intanto nel Paese in cui il prezzo di una pesca rischia di coincidere con la capacità di spesa giornaliera per tante famiglie, accade che il governo presenti la NADEF, la nota di aggiornamento del documento economico e finanziario propedeutica  alla legge di bilancio del 2024, e che per millemila ragioni i conti non tornino. Pensa e ripensa a come taroccarli un pochetto, non si è trovato di meglio che aumentare il disavanzo pubblico al 4,3% per l’anno venturo, vale a dire che le uscite supereranno le entrate di quasi 12 mld.

Tuttavia non dobbiamo preoccuparci, perché i soloni del governo Meloni –  me cojoni – hanno previsto una (misera) spending review di 2 mld sulle spese ministeriali. Il potente artifizio contabile porterà il tesoretto del governo a 14 mld comunque insufficienti, con un’inflazione intorno al 6/7%, ad abbattere in modo consistente le tasse che gravano sul lavoro dipendente, a sostenere le pensioni e i redditi più bassi e soprattutto a rilanciare la Sanità e la Scuola pubbliche, i pilastri dello Stato Sociale che la destra neoeuropeista, neoatlantista e neoliberista sembra aver sconfessato il giorno dopo il trionfo elettorale.

Ora il documento dovrà passare al vaglio dell’Europa e subito dopo al giudizio di quegli stessi mercati che acquisteranno (si spera) i nostri titoli di debito, per i quali l’aumento dei tassi di remunerazione sottrae allo Stato, secondo le stime del Ministero delle Finanze, ulteriori risorse per 14/15 mld. Inoltre la recente ripartenza dello spread non fa che aumentare le preoccupazioni degli analisti finanziari.

L’impressione è che, al netto dell’endorsement di “Meloni’ alla “pesca” (non fa un po’ ridere?), ci troviamo di fronte ad un governo che di frutta se ne intende davvero, essendovi arrivato.

Privi di idee e di strategie per lo sviluppo, invischiati nella melma del “presentismo” che attanaglia il Paese da oltre trent’anni, familiari e amici di militanza della premier, seppur guardati a vista da von der Leyen&soci, rischiano di ripetere la scena di una destra (quella berlusconiana) che manda a picco i conti dello Stato, favorendo il ritorno della solita musica da requiem: tecnici, rigore, lacrime e sangue.

Detto tra noi, davvero vi aspettavate che la “destra sociale” fosse in grado di demolire con la forza della sola fuffa elettorale il tabù di ispirazione thatcheriana che negli ultimi tre/quattro decenni ha regolato i rapporti tra i ceti sociali e lo Stato, producendo un aumento insostenibile delle diseguaglianze e la crisi del settore pubblico a tutto vantaggio della deregulation?

Su questo tema, inutile dirlo, anche la sinistra è stata subordinata al paradigma dominante oltre ad essere, storicamente, la principale responsabile del percorso di ignavia che ha portato al governo questa destra macedonia.

Se ne riparla al caffè. Che, al solito, sarà amarissimo.

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