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Campi larghi e campi di battaglia

In Abruzzo non sarà possibile effettuare il voto disgiunto, cioè il voto per una lista e poi per un candidato presidente diverso da quello che la lista sostiene. Mentre in Sardegna questo è stato un fattore importante per portare alla vittoria  Alessandra Todde, in Abruzzo la legge elettorale non lo consente. Si potrà votare per un candidato presidente e per una lista, oppure scegliere di indicare solamente una lista (in questo caso il voto sarà contato automaticamente per il candidato di lista).

Abbandonando per un attimo l’illusione di una riscossa del “campo giusto”, del “campo largo” o di quello con Calenda, dal momento che in Sardegna lo scrutinio ritardato delle ultime 22 sezioni ha ridotto a poco più di un migliaio di voti (e forse neppure quelli) il vantaggio di Todde su Truzzu, sarebbe il caso di fare una riflessione più ampia sul futuro del governo.

La durata di Meloni&friends non dipende strettamente dall’aritmetica della maggioranza che li sostiene. Come scriveva qualche giorno fa Tommaso Nencioni, questi numeri “possono essere facilmente smantellati da un giro di telefonate – o, se sono particolarmente zucconi, da una letterina fatta filtrare su qualche giornale”.

Il futuro del governo, pur ammettendo una seconda sconfitta in Abruzzo (cosa di cui dubito fortemente), dipende soprattutto “dalle garanzie che esso dà di fedeltà al vincolo euro-atlantico; anzi, dalla sostituzione del centro-sinistra come depositario di questa funzione di garanzia, stante “l’inaffidabilità” del centro-sinistra in questa versione in cui Conte ha il ruolo di partner quasi alla pari. Ragion per cui il governo non ha nessuna possibilità di dare risposte concrete in termini di sviluppo e benessere, poiché queste presupporrebbero la pacificazione dell’Europa e del Mediterraneo e la rottura degli stolidi vincoli imposti dalla BCE e dai fondi speculativi”.

Se dunque, prosegue Nencioni, “come è auspicabile, episodi come quello sardo dovessero farsi più frequenti, c’è da attendersi dalla destra la messa in campo di risposte in termini simbolici e di repressione dei movimenti sociali da dare in pasto al proprio elettorato.

Bisogna dunque tenere alta la guardia. Ma bisogna tenere altra la guardia anche per un altro motivo: considerate le prospettive che si cominciano a intravedere di crescita della competitività dell’alleanza PD – M5S – sx, è facile immaginare che mestatori alla Calenda, alla Bonino e alla Renzi dismettano velleità autonomistiche e intendano venire a covare le uova nel nido di questa alleanza, per spostarla al centro e al servizio del vincolo esterno (“Repubblica” ha già cominciato a spingere in questa direzione, e lo stesso Calenda si è già pronunciato in questo senso)”.

Una risposta sensata da parte di Conte potrebbe essere quella dell’alleanza col PD “ovunque si rompe con la trimurti dei mestatori: una posizione lineare, facile da comprendere, portatrice di effetti politici positivi”. E di sicuro successo, perché non dirlo, pure in chiave propagandistica, dal momento che dei tre soggetti in questione gli italiani sembrano proprio non volerne sapere.

Da mesi il dibattito impostato dal giornalettismo destrorso/padronale parla di sinistra divisa, Schlein debole e deriva populista dei 5*. A me sembra che le “dimensioni del campo” e i matrimoni di interesse non siano il tema, ma lo sia invece lavorare in autonomia e poi cercare di vincere le elezioni insieme. Punto.

La linea di Schlein, contro la precarietà e per un nuovo welfare, permette di potersi alleare con i 5*, portando il reale nel dibattito politico e non la fuffa giornalistica. Il principale nemico della segretaria dem è, al solito, il suo partito. Non gli elettori, i militanti e, in buona parte, gli iscritti, ma i burocrati di professione che già avevano i comunicati pronti sperando che in Sardegna si perdesse.

Per come la vedo, qua lo ribadisco, le cose nelle altre quattro regioni saranno ben più difficili. In Piemonte quasi disperate, dal momento che la stessa stampa locale confonde spesso Cirio con Lo Russo e dove il PD locale, noto raggruppamento di renziani malcelati, pare indeciso pure sul fare le primarie o no.

Intanto le elezioni europee (e la WWIII) si avvicinano e qualunque minchione accetti di giurare fedeltà al PIL secondo il vangelo di von der Leyen potrà governare senza doversi preoccupare troppo di avere un programma in casa propria.

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