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𝗬𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗠𝗮𝗿𝗼𝗰𝗰𝗼! 🇲🇦

Ci siamo! ll Marocco raggiunge la semifinale all’insegna di un riscatto sociale che sa di colonialismo e di banlieue, ma anche di investimenti (toh, guarda!) che rendono.

È ben vero che il calcio fa schifo e che non c’è niente per cui valga la pena di farne l’elegia. I giocatori di livello sono perlopiù mercenari o figli di immigrati di seconda o terza generazione, le squadre di club navigano a vista e nei debiti, i fondi d’investimento, massima espressione del capitale finanziario sovranazionale, stanno sostituendo le dinastie imprenditoriali locali.

Ma allora che scriviamo a fare?

Per chiudere l’argomento subito e senza troppi giri di parole, sarebbe sufficiente parlare dei baluba intabarrati qatarioti, della loro propensione all’elargizione di mazzette, di quella meno che scarsa per i diritti dei lavorarori e di come si siano aggiudicati il Mondiale, vale a dire corrompendo “fenomeni” del facciaculismo come la greca Kaili, quella con i sacchi di denaro nell’armadio, o come il piddino italiota Panzeri. Fu proprio l’europarlamentare greca a sostenere in un accorato discorso di neanche un mese fa a Strasburgo che “Il Qatar è in prima linea per i diritti dei lavoratori”. Per dire.

Bene, dipinta la cornice, non resta che scegliere i soggetti.

Le prime pennellate sono per lo stadio “Al Thumama”, ieri massimamente colorato di rossoverde. Ma c’è di più. Fuori dallo stadio, a sostenere la squadra marocchina,  c’era un universo.

Nonostante tra Rabat e Doha vi siano settemila chilometri, Marocco e Qatar si possono definire geograficamente (assai meno culturalmente) come le due estremità della mezzaluna islamica che dominò quella parte di mondo compresa tra il Golfo Persico e le Colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra, per i fan basici di Poldo il girasagre).

“Ercole trasporta le leggendarie colonne”, smalto di Limoges metà del XVI secolo, museo civico Ala Ponzone, Cremona.

Leggendo l’impresa a ritroso nel tempo, scopriamo che il Marocco ha investito molto in quella che sarà la sua sesta Coppa del Mondo. Con l’avvento di Walid Regragui in qualità di nuovo  CT, seguito all’esonero del bosniaco Halilhodzic a meno di tre mesi dall’inizio del torneo, il clima dello spogliatoio marocchino pare essersi rasserenato: il nuovo tecnico ha saputo riportare entusiasmo e speranza.

Sarebbe tuttavia ingiusto non riconoscere i meriti del predecessore di Regragui, il bosniaco Vahid Halilhodzic, Con lui al timone, il Marocco si era reso protagonista di un percorso brillante, inanellando venti vittorie, sette pareggi e solamente tre sconfitte prima dell’esonero per scazzi con i vertici federali  (tutto il mondo è paese) sulla gestione delle star Ziyech e Mazraoui.

Va anche detto che da qualche anno la nazionale magrebina può contare su una organizzatissima e capillare rete di scouting con osservatori in tutta Europa, dal Belgio alla Spagna, passando per la Francia e pure per l’Italia.

Non è un caso se il Marocco è una tra le nazionali presenti in Qatar che maggiormente attingono al serbatoio delle diaspore europee, come si conviene agli stati dai quali si emigra da oltre un secolo: addirittura sedici dei ventisei giocatori selezionati dal CT Regragui non sono nati in patria.

Nonostante ciò, sotto l’aspetto della formazione e dello sviluppo dei calciatori, diversi “step forward” sono stati compiuti anche a livello nazionale. Il merito è soprattutto dell’Accademia Calcistica Mohammed VI, situata alla periferia della capitale Rabat. L’ Accademia, che porta il nome del sovrano, è la culla del calcio marocchino. Era questo lo scopo per cui nel 2008 il re Mohammed VI ne aveva proposto la costruzione, annunciando un investimento governativo di 140 milioni di dirham, l’equivalente di circa tredici milioni di euro, cifra che ad oggi pare aver superato i sessanta milioni.

Sarebbe dunque riduttivo limitarsi a tratteggiare un quadro che parla unicamente di orgoglio nazionale e di fede religiosa. Quello è un disegnino che lasciamo ai pastelli “razziali” che popolano l’universo dei bimbiminkia salvinmeloniani. Basta pensare che la Turchia, semifinalista nel 2002, non aveva suscitato le stesse emozioni.

Per come la vedo io, magari un po’ romanticamente e rigorosamente da sinistra, è nel riscatto del lavoratore povero, quello al contempo umiliato dall’emirato neo sfruttatore e perculato dal borioso Occidente ex colonialista, che si ritrova il significato di rivalsa di un mondo, il Terzo, su chi arriva, conquista e se ne va dandoti pure del morto di fame.

È anche la rivincita “sul campo” del colonizzato sul colonizzatore: i marocchini hanno eliminato prima gli spagnoli, con cui i loro predecessori avevano combattuto per oltre mille anni; poi i portoghesi, che tentarono invano di conquistare il Marocco; ora in semifinale trovano i padroni più recenti, i francesi.

Vivendo in un quartiere ad alto tasso di immigrazione ed avendo amici di ogni etnia, quel che mi colpisce è proprio lo spirito gioioso di rivalsa più che quello rancoroso di vendetta, magari animato dall’integralismo religioso. In tempi di guerra è bello vedere l’energia prendere il posto della rabbia.

Nel Mondiale qatariota si sono venute a creare le condizioni che hanno fatto di una buona squadra di pedatori un collettivo in grado di tener testa, quanto meno con lo spirito, anche alla pluriblasonata Francia.

Le tappe del percorso sono state scandite da festeggiamenti in tutto il mondo, Italia compresa. A Milano c’è stata una rissa con accoltellamento. Non sarà sembrato vero al governo neroverde di vedersi servito un assist facile facile per fare girare un po’ di merda dai tubi. Lo stesso ha invece glissato sull’aggressione razzista che alcuni marocchini hanno subito a Verona per mano di incappucciati armati di spranghe e catene.

Anche a Bruxelles è accaduto qualcosa di preoccupante: i figli degli immigrati hanno festeggiato in modo violento la vittoria sui belgi, dando dimostrazione di sentirsi più esuli che nuovi europei. In Francia potrebbe ripetersi una situazione simile. Resta il fatto che i nipotini di Leopoldo e quelli del generale Lyautey un po’ di “cattiva” memoria l’hanno lasciata.

Il calcio non è mai solo un fatto tecnico. È un fenomeno che, nell’era della globalizzazione, rappresenta bene le contraddizioni del modello di sviluppo imperante e gli interrogativi sul futuro del mondo.

Al di là della goduria maxima nel caso in cui il Marocco “giustiziasse” anche la grandeur francese (ma sono quasi tutti africani!), il calcio è sempre una storia che riguarda tutti. Anche quelli che non lo seguono.

E allora Yalla Marocco!

🌹🏴‍☠️🇲🇦

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