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𝐋’𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐫𝐚̀ – 𝐠𝐞𝐨𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐧𝐝𝐞𝐦𝐢𝐚

Il 2020, oltre che l’anno del virus, è stato l’anno del ritorno del confine, del muro, della barriera in senso politico internazionale e nella vita di ciascuno di noi.

L’anno appena trascorso sembra aver messo in profonda discussione i pilastri della globalizzazione. Con questo termine si era inteso descrivere, soprattutto negli anni Novanta, il mondo post-bipolare nei termini di una progressiva affermazione del modello statunitense, sia in politica sia in economia. Il comune denominatore delle visioni di un mondo non più come un insieme di differenze, ma come un’unica trama unificante, di un villaggio globale sostanzialmente piatto e omologante, era la possibilità di condivisione, o meglio, dell’apertura progressiva dei confini. Con l’affermazione delle rotte mondiali e del commercio internazionale – si diceva – la politica avrebbe perso terreno a favore di una logica sempre più globalizzante, in cui i confini avrebbero inevitabilmente perso il loro senso originario.

Il virus, o meglio la gestione intermittente, disconnessa e altalenante che ha contraddistinto molti Stati, pur con le dovute differenze spesso trascurate dai media e con l’emergenza che c’è stata e continua a esserci, ha messo in crisi le certezze del mondo globale. Le misure di contenimento che a diverse latitudini sono state adottate hanno rappresentato la riaffermazione di quei confini che volevamo dimenticare.

La democrazia rappresentativa, non solo nella chiusura progressiva dei confini, ma anche nelle chiusure disposte da diversi Stati, nell’applicazione di restrizioni alla libertà individuale e nel perdurante stato di emergenza, corrispondente a un’eccezione che nel tempo diventa norma con decreti che – come molti illustri costituzionalisti hanno messo in rilievo – hanno in parte esautorato i parlamenti, nell’impossibilità di garantire la libertà di lavoro, di istruzione vera (in presenza) è stata nell’ultimo anno sospesa. Così come è venuta meno anche quella libertà di movimento, sul territorio nazionale e nel mondo, che era una prerogativa fondante della globalizzazione. Col suo arresto si è oltretutto interrotto in modo significativo il flusso turistico, che nel nostro caso rappresentava il 13% del Pil italiano, con ripercussioni economiche, sociali e anche psicologiche di enorme rilevanza.

Oggi il mondo sembra racchiuso tutto in uno schermo, non solo per via di GoogleMaps. Se la globalizzazione si era aperta con la prima modernità e con i viaggi di scoperta e si era poi cristallizzata con l’abbattimento dei muri, oggi ne viviamo la sua più profonda nemesi: siamo chiusi dentro casa e con le esperienze quotidiane – formative, scolastiche, universitarie, lavorative, di shopping, di ristorazione, etc. – ridotte allo schermo del PC, potendo superare i limiti di una realtà fisica solo tramite una realtà virtuale.

𝐋𝐚 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐔𝐄 𝐚𝐥 𝐂𝐨𝐯𝐢𝐝-𝟏𝟗: 𝐮𝐧 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐨 𝐢𝐧 𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞

La pandemia ha segnato un passaggio storico per l’integrazione europea, soprattutto sul piano economico. Dopo iniziali esitazioni e lunghe trattative, a luglio, i paesi Ue hanno deciso di dar vita ad un programma comune di investimenti per il rilancio dell’economia, NextGenerationEu: ingenti somme di euro divise in grants (finanziamenti a fondo perduto) e loans (prestiti a tassi favorevoli a lunghissima scadenza). Il piano rappresenta una svolta in quanto per la prima volta, in aggiunta al budget costituito dai contributi dei Paesi membri in proporzione al loro PIL, l’Ue si dota di un bilancio vero e proprio, finanziato tramite l’emissione di titoli garantiti dalla Commissione. A marzo, la Presidente della BCE Lagarde, aveva già dato il via al programma PEPP, un massiccio piano di acquisto di titoli pubblici degli Stati da parte della BCE per un valore di 1850 miliardi. Tale programma ha impedito il ripetersi della crisi dei tassi di interesse dei titoli pubblici come era accaduto nel 2011, consentendo ai Paesi più in difficoltà di potersi finanziare con tassi di interesse vantaggiosi. Inoltre, il piano comune europeo per i vaccini che alla fine del 2020 ha fatto partire una campagna vaccinale comune in tutti gli Stati ha dato un importante messaggio di unità e solidarietà. NextGenerationEu, gli interventi della BCE e la campagna vaccinale hanno dimostrato la volontà dell’UE di imporsi come attore decisivo e indispensabile per debellare il virus e rilanciare l’economia portando avanti nel processo di integrazione.

𝐥𝐥 𝐌𝐞𝐝𝐢𝐭𝐞𝐫𝐫𝐚𝐧𝐞𝐨 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐧𝐝𝐞𝐦𝐢𝐚

In un anno particolarmente funesto il Mediterraneo ha riscoperto la sua centralità geopolitica. Le sfide per la sicurezza e la gestione del fenomeno migratorio, da sempre temi cruciali per tutto il Mediterraneo, incontrano la necessità di una transizione energetica e le difficoltà legate all’economia verde. In un contesto altamente fragile, per la complessità degli eventi legati alla guerra in Libia e all’ingerenza della Turchia, le prossime sfide del Mediterraneo riguarderanno sicuramente le disuguaglianze e l’instabilità politica ormai presente da fin troppo tempo. Il progetto che deve portare avanti tutta l’Europa, ma in primis l’Italia, è quello di una sicurezza e prosperità condivisa, per poter anche trasformare la crisi pandemica in una opportunità.

Il Covid-19 e i conseguenti lockdown hanno determinato la diminuzione della domanda globale di petrolio, portando al crollo del prezzo del greggio, con gravi problemi per gli Stati fortemente dipendenti dalle esportazioni di idrocarburi come Libia, Marocco e Egitto. Proprio per questo, nel contesto di una emergenza sanitaria senza precedenti, la possibilità di trasformare la crisi in opportunità è quanto mai fondamentale per poter dare risposte concrete. La ripartenza post-pandemia dovrà fermare il continuo malcontento che ormai è presente da più di dieci anni in molti Paesi Arabi, primi fra tutti in Libia e Yemen e dare una ferma risposta all’ingerenza turca sempre più opprimente in tutto il Mediterraneo. Sarà quindi fondamentale sviluppare un progetto a lungo termine per il settore energetico europeo, che sappia unire la diplomazia e la necessità di una transizione energetica stimolando un dibattito all’interno della classe politica sulle due sponde del Mediterraneo su temi e sfide comuni, per costruire società senza disuguaglianze, migliori e più efficienti.

𝐒𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐔𝐧𝐢𝐭𝐢: 𝐈𝐥 𝐜𝐨𝐯𝐢𝐝𝐞 𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞

Il Coronavirus, oltre ad aver influenzato in maniera negativa la popolarità di Trump – passata dal 48% di marzo/aprile al 38% di settembre/ottobre –, il suo operato e le elezioni presidenziali, ha avuto un impatto disastroso sul sistema sanitario americano, sull’economia e sulla disoccupazione – arrivata ai massimi storici. Gli Stati Uniti, infatti, sono stati uno dei paesi più colpiti dal virus, avendo raggiunto quasi 350mila morti. Da segnalare è sicuramente il piano record da 2 miliardi di dollari di aiuti economici (The Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act) in risposta alla pandemia: una cifra senza precedenti nella storia degli Stati Uniti che ha dato man forte a famiglie ed aziende, sotto forma di assegni di sostegni al reddito, prestiti e salvataggi per imprese grandi e piccole. Nonostante l’economia e la disoccupazione si stiano riprendendo grazie anche a tale piano, Washington sta ancora combattendo contro il virus. Negli ultimi giorni dell’anno però è partita la campagna di vaccinazione: il presidente eletto si è posto come obiettivo quello di somministrare 100 milioni di vaccini nei suoi primi 100 giorni di mandato e ha dichiarato di voler utilizzare il Defense Production Act per accelerare la produzione di vaccini. Una cosa è certa: il Covid-19 sarà assolutamente la priorità per Biden sin dall’Inauguration Day e la nomina di Xavier Becerra come Segretario della Salute ne è una prova.

𝐄𝐬𝐭𝐫𝐞𝐦𝐨 𝐎𝐫𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐞𝐪𝐮𝐢𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐢𝐚𝐥𝐢

Per comprendere gli equilibri mondiali occorre fare particolare riferimento all’Estremo Oriente giacché questa regione – come l’Europa alla vigilia della Grande Guerra – non solo ha la maggiore concentrazione d’interdipendenza economico-finanziaria, ma nello stesso tempo è anche la regione più militarizzata del Pianeta. Insomma, è il luogo del confronto tra le grandi potenze di oggi: USA (iperpotenza in declino), Cina (grande potenza in forte ascesa), Russia (ex superpotenza tornata prepotentemente sulla scena politica mondiale), India (altro colosso demografico in ascesa) e Giappone (terza economia mondiale, già locomotiva economica negli anni Ottanta come lo è oggi la Cina). Impreparata a questa prova appare l’Europa, troppo concentrata sul problema identitario, lacerata soprattutto dalla contrapposizione tra sovranismo ed europeismo. In Europa, più che in altre regioni, la contrapposizione “nazionale vs. globale” sembra aver ormai soppiantato il modello politico del secolo scorso “destra vs. sinistra”. Eppure, proprio dalla terribile esperienza del Coronavirus Bruxelles potrebbe ricevere la spinta decisiva ad esprimere proattivamente le sue enormi potenzialità nel proscenio della politica mondiale.

Indubbiamente, il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina è il grande gioco del Nuovo Secolo. Pechino, consapevole dell’enorme potere accumulato anche in termini di soft power, mira a diventare l’egemone regionale. Da parte sua Washington, che per i prossimi decenni continuerà ad essere l’indiscussa prima potenza militare ma che dopo il breve “unipolar moment” è ormai anche consapevole dell’impossibilità di esercitare l’egemonia a livello mondiale, cerca di contenere la Cina con l’obiettivo di continuare a svolgervi il tradizione ruolo di offshore balancer, di stabilizzatore esterno. Bisogna aggiungere che recentemente si sta affermando tra gli studiosi americani una corrente di pensiero secondo cui gli Stati Uniti dovrebbero far fronte all’oggettiva perdita di quote d’egemonia accettando le “sfere d’influenza”, una nozione fondamentale della vecchia geopolitica che implica di fatto la condivisione del potere mondiale con altre grandi potenze, ad esempio Cina e Russia.

In termini generali, si può dire che la pandemia, più che creare rotture o nuove aggregazioni, è un potente acceleratore delle radicali trasformazioni e delle tendenze in atto. Di fronte alla pandemia non ha aiutato l’arroganza di Trump, ma nemmeno il comportamento del Presidente Xi Jinping, connotato da una auto-compiaciuta “benevolenza”, che secondo il Confucianesimo è la madre di tutte le virtù, ma che per gli Occidentali denota ambiguità e ipocrisia. Xi Jinping, dopo aver riconosciuto i gravi ritardi decisionali agli inizi dell’emergenza sanitaria (che invero sono frequenti nel tradizionale esercizio del potere nei paesi confuciani, ove è rigidamente gerarchizzato), ha lanciato una sorta di “diplomazia sanitaria” o umanitaria inviando aiuti in uomini e presidi sanitari (talvolta di qualità scadente) ai paesi maggiormente colpiti dal virus, in primo luogo l’Italia, e alla stessa OMS. Opera meritoria senza dubbio, ma con un malcelato messaggio poco rassicurante: la vittoria contro la pandemia è la prova della superiorità del “modello cinese”.

In definitiva, sia il “primato americano” sia il “sogno cinese” di un mondo sinocentrico sono due visioni intrinsecamente caratterizzate da eccezionalismo, ma in definitiva non in grado di esercitare la governance di un mondo complesso.

Lo storico israeliano Harari schematizza i diversi approcci possibili nella politica internazionale, individuando due scelte strettamente legate tra loro: sorveglianza totalitaria o responsabilità dei singoli, isolazionismo degli Stati o solidarietà globale.

Partendo da questa schematizzazione di Harari, possiamo collocare le traiettorie possibili per l’evoluzione degli scenari geopolitici tra i seguenti opposti poli:

𝐑𝐮𝐬𝐬𝐢𝐚: 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨-𝐩𝐞𝐫𝐢𝐟𝐞𝐫𝐢𝐚

La Federazione Russa non è stata esente dalle gravi ripercussioni della pandemia di Covid-19. Il Cremlino ha dovuto far fronte ad un aggravarsi della frattura centro-periferia, accentuata non solo dalla crisi economica, ma anche dalla distanza istituzionale che, in questo caso, si traduce in uno sviluppo asimmetrico dell’apparato sanitario. Emblematico è il fatto che, ad oggi, non vige alcuno stato di emergenza, non vi sono cioè variazioni sostanziali dell’assetto istituzionale. Sono stati emanati alcuni decreti presidenziali volti a lasciar margine di manovra ai governatori regionali. Non si può, quindi, parlare propriamente di redistribuzione di potere verso le entità federate, ma piuttosto di un tentativo, da parte del governo centrale, di condivisione di responsabilità. Nonostante ciò, si è assistito all’emergere di figure politiche regionali carismatiche che si sono distinte nella lotta al virus. Eretto a “flagman delle restrizioni”, il sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin, è divenuto un punto di riferimento non solo per la capitale, ma anche per le regioni vicine, esprimendo più volte il malcontento dovuto alle posizioni del Cremlino nei confronti della pandemia.

𝐀𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐋𝐚𝐭𝐢𝐧𝐚

L’America Latina resta una delle regioni del pianeta più colpite duramente dalla pandemia, con circa sessanta milioni di casi e 1.4 milioni di morti. Malgrado ciascun paese abbia vissuto situazioni specifiche differenti in relazione alle conseguenze socio-politiche, una costante rimane: la pandemia ha palesato, e in alcuni casi acuito, degli evidenti limiti strutturali, economici e politici della regione, intensificando i rigurgiti autoritari, esacerbando le tensioni sociali e le disuguaglianze. La crisi economica causata dal Covid-19 e il già evidente indebolimento democratico, non hanno fatto altro che rafforzare il malcontento nelle piazze, in molti casi già presente prima che il virus si abbattesse sull’America latina. Infatti in molti casi, la scarsa gestione della pandemia, dovuta ad evidenti deficit nei sistemi sanitari nazionali, sommata alle conseguenze economiche del confinamento e alle decisioni politiche prese nella fase emergenziale, hanno riacceso le proteste sociali delle classi sociali più colpite. Alla richiesta di un miglioramento dei servizi pubblici quindi si è resa necessaria l’esigenza di rinnovamento politico, di una democrazia più forte, di istituzioni meno corrotte. Le risposte dei governi non sono state sempre positive, anzi, spesso è montata la protesta subito repressa duramente.

𝐀𝐟𝐫𝐢𝐜𝐚

L’espandersi dell’epidemia di Covid-19 ha inevitabilmente comportato la sua diffusione anche in Africa. Mentre il virus è stato lento a raggiungere il continente rispetto ad altre parti del mondo, l’infezione è cresciuta in modo esponenziale e continua a diffondersi; Oltre alla fragilità del sistema sanitario – si pensi che in Africa è presente solo il 3% del personale medico mondiale, nonostante vi siano sul suo territorio circa il 24% delle malattie a livello globale – un’ulteriore preoccupazione riguarda le inevitabili ripercussioni economiche. Una serie di fattori, come l’impatto causato dal crollo dei prezzi del petrolio, l’interruzione degli scambi e delle catene globali dei valori, il blocco del turismo e degli investimenti diretti esteri, nonché il crollo dei mercati finanziari, influiscono negativamente sull’economia dei Paesi africani. La contingenza economica ha portato quindi a un inevitabile aumento del debito; Questa situazione va a peggiorare quello che già prima del propagarsi della pandemia era definito come una delle peggiori crisi debitorie del continente. In tal senso i Paesi del G20 in aprile avevano lanciato l’Iniziativa di Sospensione del Pagamento del Debito (Debt Service Suspension Initiative -DSSI-) per 73 paesi a reddito medio e basso, estesa poi fino al 30 giugno 2021. La sospensione però, che garantirà ai Paesi aderenti una cifra vicina a 5 miliardi di dollari, è vincolata all’uso delle risorse liberate per spese sociali e sanitarie legate al contrasto del Covid-19.

𝑃𝑒𝑟 𝑐ℎ𝑖𝑢𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑔𝑛𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑔𝑒𝑜𝑝𝑜𝑙𝑖𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑛𝑑𝑒𝑚𝑖𝑎, 𝑙𝑎 𝑠𝑝𝑒𝑟𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑒̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑙’ “𝑎𝑐𝑐𝑜𝑚𝑢𝑛𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜”, 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎 𝑒 𝑎𝑛𝑔𝑜𝑠𝑐𝑖𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑜𝑟𝑎 𝑠𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑖𝑢𝑡𝑒, 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑎 𝑓𝑎𝑟 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑟𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑖 𝑝𝑜𝑝𝑜𝑙𝑖, 𝑡𝑟𝑎 𝑙𝑎 𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑖 𝑔𝑜𝑣𝑒𝑟𝑛𝑖, 𝑑𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑠𝑝𝑜𝑛𝑠𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑒 𝑐𝑜𝑙𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎 (𝑖𝑙 𝑐ℎ𝑒, 𝑜𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜, 𝑠𝑖𝑔𝑛𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑔𝑙𝑖 𝑂𝑐𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 “𝑏𝑒𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑢𝑛𝑒” 𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑢𝑐𝑖𝑎𝑛𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑜𝑠𝑖 𝑑𝑒𝑖 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 “𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎 𝑢𝑚𝑎𝑛𝑎”), 𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑎𝑝𝑒𝑣𝑜𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑒𝑟 𝑎𝑙𝑙𝑎𝑟𝑔𝑎𝑟𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑜𝑝𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎 𝑙𝑖𝑣𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑔𝑙𝑜𝑏𝑎𝑙𝑒. 𝑀𝑎 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜𝑟𝑎𝑛𝑒𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑠𝑝𝑖𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑠𝑖𝑡𝑢𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒, 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑓𝑟𝑎𝑔𝑖𝑙𝑒 𝑒 𝑓𝑟𝑎𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑠𝑠𝑖𝑚𝑒 𝑝𝑎𝑛𝑑𝑒𝑚𝑖𝑒.

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https://www.geopolitica.info/il-mondo-verso-un-futuro-post-pandemico-limpatto-geopolitico-del-covid-19-sul-sistema-internazionale-il-lascito-del-2020/

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https://www.geopolitica.info/mediterraneo-nuovo-fulcro-strategico-ed-energetico-dopo-la-pandemia-o-nuova-periferia-del-mondo/

https://www.geopolitica.info/xv-winter-school/

https://formiche.net/2021/01/2020-geografia-scrive-ricci/

http://www.cscc.it/blog/p/geopolitica%20coronavirus%20mazzei

 

 

 

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